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15.10.09

LETTERA ALL'ITALIA INFELICE DI ROBERTO SAVIANO

Ecco alcuni stralci del testo dello scrittore. L'intera lettera di Saviano è pubblicata su 'L'espresso' in edicola venerdì 16 ottobre

Foto di Mario Spada sul set di 'Gomorra'
"Se la libertà è divenuto tema di dibattito continuo, quasi ossessivo in Italia vuole dire che qualcosa non funziona. Verità e potere non coincidono mai e quello che sta accadendo in questi giorni lo dimostra. Ci sono lezioni che non si imparano, disastri naturali che si ripetono come se la storia non ci avesse insegnato nulla e sacrifici di persone che hanno lottato per rendere questo Paese migliore che vengono dimenticati se non ignorati o peggio insultati. Qualcosa non funziona perché non si vuole capire quello che è accaduto e che quello che avviene tutti i giorni: non si racconta il presente, non si analizza il passato, tutto diventa polemica, dibattito sterile; tutto si avvita in un turbine di gelosie e di guerre tra bande. La folla di piazza del Popolo mi ha stupito, stordito, emozionato. Non sapevo cosa dire: quella che avevo davanti era una testimonianza incredibile, non ero più abituato a vedere tanti volti e tanto sole. Da quando tre anni fa sono stato messo sotto protezione e costretto a vivere con la scorta non avevo mai potuto sentire un vento di speranza così forte.

Alla gente in Italia non interessa la libertà di stampa, non si preoccupa per il fatto che sia stata offuscata e minacciata da quello che sta accadendo: la libertà di stampa non è importante perché non la si considera necessaria e utile al proprio quotidiano. Non capiscono quello che stanno rischiando, quanto possono perdere. Se ne accorgeranno solo quando riusciranno a vedere con occhi diversi e comprenderanno che oggi sulla maggioranza dei media la vita non viene raccontata ma rappresentata. Ricostruita secondo luci e dinamiche che la rendono finta. Verosimile ma lontana dal reale: come quelle foto ritoccate al computer per cancellare le imperfezioni, far sparire le rughe, il peso del tempo e gli acciacchi del divenire fino a rendere un'immagine diversa delle persone che così rinunciano persino a specchiarsi. Ci viene raccontata un'Italia allegra, il Paese del bel mangiare e delle belle donne. Ci viene imposto il modello di un Paese spensierato, in fila per partecipare alla fortuna milionaria delle lotterie e per vincere un posto in un reality show. Ma l'Italia oggi è profondamente infelice e triste. Vive nella cattiveria di una guerra per bande generalizzata, di un sistema animato dalle invidie. E la nostra percezione è così lontana dalla realtà da impedirci anche di renderci conto dell'infelicità. Ho sempre dentro il racconto di un immigrato africano che incontrai a Castel Volturno prima delle riprese del film "Gomorra": "La cosa che odio degli italiani è la loro gelosia, quell'invidia cattiva che hanno nei confronti di chiunque riesca ad ottenere qualcosa. Quando in Francia lavori molto, riesci a guadagnare e puoi comprarti una bella macchina, ti guardano riconoscendo il risultato. Dicono: "Quanto ha faticato per farcela". Invece quando in Italia ti vedono al volante della stessa auto senti subito che ti stanno dicendo "Stronzo bastardo". Non si pongono nemmeno la domanda su quanti sacrifici hai fatto, scatta subito una gelosia che si trasforma in odio. Questo accade solo nei paesi dove i diritti divengono privilegi, e quindi dove il nemico non è il meccanismo sociale che ha permesso questo, ma bensì chi riesce ad avere quel diritto. Una guerra tra vicini ignorando i responsabili del disastro. Questo si combatte solo raccontando quello che non va, perché solo raccontando la realtà di quest'Italia arida si potrà sconfiggere l'infelicità: la libertà di stampa è utile per essere felici".

"L'assenza di serenità ci porta a rinunciare alla libertà di stampa. Sapere che la replica al proprio "lavoro non sarà una critica, ma un'offesa o un attentato alla sfera privata spinge ad autocensurarsi, convince a non attaccare qualunque autorità, rende schiavi di ogni potere. Dopo l'editoriale di Augusto Minzolini sul Tg1 mi sono chiesto se si rendesse conto di quello che stava facendo. Avrei voluto dirgli che manifestare per la libertà di stampa significava manifestare anche per lui, anche per il suo futuro: un futuro in cui se si potrà ancora parlare del potere, se lo si potrà criticare è perché qualcuno ha lottato per renderlo possibile. Si è scesi in piazza anche per lui, perché lui domani possa continuare a dire quello che dice oggi anche se dovesse cambiare il potere che difende le sue parole".
(14 ottobre 2009) 

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