“Ciò constituisce una ulteriore violazione del diritto internazionale umanitario”. E’ questa la frase posta in calce in ognuna delle 575 pagine che compongono il rapporto delle Nazioni Unite stilato da una Missione inquirente sul conflitto di Gaza.
Il dossier, noto col nome di “rapporto Goldstone”, - dal nome del presidente della Missione Richard Goldstone ex giudice della Corte Costituzionale del Sud Africa e ex procuratore dei tribunali penali internazionali per l'ex Jugoslavia e il Ruanda - ha convinto il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu a riaprire il dibattito sui crimini di guerra commessi nella e dalla striscia di Gaza fra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio del 2009 dall’esercito israeliano e dai militanti palestinesi. Per riuscire a completare l’analisi, che più di una volta viene dichiarata non esaustiva della molteplicità dei fatti, i membri della Missione hanno lavorato per tre mesi, dal maggio al luglio 2009, su diverse fonti informative. Dopo aver sostenuto e ribadito “la mancanza di cooperazione da parte di Israele” gli esperti hanno specificato di essersi avvalsi di diverse fonti: la rilettura dei rapporti giornalistici e delle ONG, interviste con i familiari delle vittime, con i testimoni e con altre persone in possesso di informazioni rilevanti; la visita presso i siti degli incidenti a Gaza; video satellitari, referti medici e udienze pubbliche a Ginevra. Risultato: 188 interviste individuali, la rilettura di 300 fra rapporti e documentazioni varie per un totale di 10,000 pagine, oltre 30 filmati e circa 1.200 fotografie. Le indagini hanno accertato la morte di 13 israeliani, fra militari e civili, e circa 1400 palestinesi, fra i quali numerosi bambini. Fra le storie di questi spicca per crudeltà quella di Amal, Souad e Samar tre sorelle cadute sotto i colpi delle Forze di Difesa Israeliane durante un’incursione a Izbat Abd Rabbo, periferia est di Jabaliyah.
“Nella tarda mattinata del 7 gennaio 2009 – si legge nel report – i carrarmati israeliani si spostarono in un piccolo pezzo di terra agricola di fronte alla casa. Poco dopo le 12:30, gli abitanti di quella parte di Izbat Abd Rabbo udirono dei messaggi al megafono che invitavano tutti i residenti a lasciare [le loro case ndr]
Verso le 12:50, Khalid Abd Rabbo, sua moglie Kawthar, le loro tre figlie, Souad (9 anni), Samar (5 anni) e Amal (dai 3 anni), e sua madre, Hajja Souad Abd Rabbo, uscirono fuori di casa, tutti portando bandiere bianche. A meno 10 metri dalla porta c’era stato un carro armato, si voltò verso la loro casa. Due soldati erano seduti su di esso e stavano consumando uno spuntino (uno stava mangiando patatine e l’altro del cioccolato, secondo uno dei testimoni). La famiglia si fermò, in attesa degli ordini dei soldati come avrebbe dovuto fare, ma nessuno lo diede. Senza preavviso, un terzo soldato uscì dall'interno del carro armato e iniziò a sparare sulle tre bambine e poi anche sulla loro nonna. Diversi proiettili colpirono Souad al torace, Amal allo stomaco e Samar nella nuca. Khalid e Kawthar Abd Rabbo trasportarono le loro tre figlie e la madre all'interno del casa. Lì, loro ed i membri della famiglia che erano rimasti dentro cercarono di chiamare aiuto da un telefono cellulare.
Hanno anche chiesto aiuto a un vicino di casa, Sameeh Atwa Rasheed al-Sheikh, che era un conducente di un'ambulanza e aveva la sua ambulanza parcheggiata vicino alla sua casa e che decise di venire in loro aiuto. Si mise i vestiti d’equipaggiamento per l’ambulanza e chiese a suo figlio di indossare un giubbotto fluorescente.
Guidarono per pochi metri dalla loro casa nelle immediate vicinanze di Abd Rabbo, quando i soldati israeliani vicino alla casa Abed Rabbo ordinarono loro di fermarsi e uscire dalla veicolo. Al Sameeh-Sheikh protestò dicendo che stava aiutando la famiglia Abd Rabbo e doveva portare i feriti in ospedale. I soldati ordinarono a lui e suo figlio di spogliarsi e poi rivestirsi. Poi ordinarono loro di abbandonare l'ambulanza e di camminare verso Jabaliyah. Quando la famiglia tornò a Izbat Abd Rabbo il 18 Gennaio, trovò che l'ambulanza era ancora nello stesso posto, ma era stata schiacciata, probabilmente da un carrormato.
All'interno della casa Abed Rabbo, Amal e Souad morirono per le ferite. [...] Samar venne trasferita all'ospedale Al-Shifa e poi, attraverso l'Egitto, in Belgio, dove è attualmente ricoverata in ospedale. Secondo quanto detto dai suoi genitori, Samar ha subito una lesione spinale e resterà paraplegica per il resto della sua vita”.
Le violazioni al diritto internazionale rilevate a carico del Governo di Gerusalemme vanno dall’uso sproporzionato della forza militare – il fascicolo Goldstone ricorda che l’esercito israeliano è uno dei più potenti al mondo – all’impiego, accertato per mezzo di prove e testimonianze, delle bombe al fosforo bianco vietate dalle convenzioni internazionali. Nel rapporto sono inoltre contenuti capitoli riguardanti la distruzione di case e ospedali e l’utilizzo dei civili come scudi umani per fermare i lanci dei razzi dei militanti palestinesi.
Agli attacchi condotti da questi dentro il territorio israeliano è dedicata la terza parte del rapporto che specifica “la Missione è stata impossibilitata a condurre un’investigazione sul sito a causa della decisione del Governo di Israele di non cooperare” .
Per questo motivo il pool ha potuto condurre solo interviste telefoniche e pubblicare dati riguardanti l’attività terroristica condotta dai tre principali gruppi armati palestinesi: Izz al-Din al Qassam Brigades987, al Aqsa Martyrs’ Brigades e Islamic Jihad. A loro è ascritto il reato di aver lanciato circa 8000 razzi dal confine di Gaza verso il territorio israeliano dal 2001.
Per ciò che concerne il periodo preso in esame dalla Missione il dossier riporta:
“Tra il 18 giugno 2008 e il 31 luglio 2009, ci sono stati quattro morti in Israele come un conseguenza di razzi e colpi di mortaio da Gaza, fra i quali tre vittime civili e un militare.
Il 27 dicembre 2008, Beber Vaknin, 58 anni, di Netivot è stato ucciso quando un razzo sparato da Gaza ha colpito un edificio residenziale a Netivot. Il 29 dicembre 2008, Hani al-Mahdi, 27 anni, di Aroar, un insediamento beduino a Negev, è stato ucciso quando un missile tipo Grad sparato da Gaza è esploso in un cantiere in Ashkelon. Lo stesso giorno, in un altro incidente, Irit Sheetrit, 39 anni, è stato ucciso, e diversi sono stati i feriti, quando un razzo Grad è esploso nel centro di Ashdod. Le brigate al-Qassam hanno rivendicato la responsabilità per l'attacco.
Il 29 dicembre 2008, un membro delle forze armate, Warrant Officer Lutfi Nasraladin, 38 anni, del comune di drusi Daliat el-Carmel, è stato ucciso da un attacco di mortaio su una base militare vicino a Nahal Oz”.
Questi, fra gli altri, i reati compiuti dalle due fazioni in guerra che, secondo quanto rivelato nel rapporto avrebbero infranto la maggior parte delle leggi interne e internazionali sui diritti umani dalla Convenzione di Ginevra del 1949 alla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici.
La Missione che – si legge – “ha investigato un grande numero di casi [...] ha rilevato che molti di questi hanno sostanza”.
Dopo il dibattito di oggi, precedentemente rinviato a marzo per le proteste ufficiali di Israele e poi riaperto dopo le pressioni di Amnesty International e dell’Europa, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu potrebbe richiedere a Israele e all’Autorità palestinese di dimostrare l’avvio di un’indagine imparziale sui crimini di guerra accertati nel dossier. Allo scadere dei sei mesi dalla possibile istanza l’Onu dovrebbe inviare i fascicoli al procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja.
Il dossier, noto col nome di “rapporto Goldstone”, - dal nome del presidente della Missione Richard Goldstone ex giudice della Corte Costituzionale del Sud Africa e ex procuratore dei tribunali penali internazionali per l'ex Jugoslavia e il Ruanda - ha convinto il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu a riaprire il dibattito sui crimini di guerra commessi nella e dalla striscia di Gaza fra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio del 2009 dall’esercito israeliano e dai militanti palestinesi. Per riuscire a completare l’analisi, che più di una volta viene dichiarata non esaustiva della molteplicità dei fatti, i membri della Missione hanno lavorato per tre mesi, dal maggio al luglio 2009, su diverse fonti informative. Dopo aver sostenuto e ribadito “la mancanza di cooperazione da parte di Israele” gli esperti hanno specificato di essersi avvalsi di diverse fonti: la rilettura dei rapporti giornalistici e delle ONG, interviste con i familiari delle vittime, con i testimoni e con altre persone in possesso di informazioni rilevanti; la visita presso i siti degli incidenti a Gaza; video satellitari, referti medici e udienze pubbliche a Ginevra. Risultato: 188 interviste individuali, la rilettura di 300 fra rapporti e documentazioni varie per un totale di 10,000 pagine, oltre 30 filmati e circa 1.200 fotografie. Le indagini hanno accertato la morte di 13 israeliani, fra militari e civili, e circa 1400 palestinesi, fra i quali numerosi bambini. Fra le storie di questi spicca per crudeltà quella di Amal, Souad e Samar tre sorelle cadute sotto i colpi delle Forze di Difesa Israeliane durante un’incursione a Izbat Abd Rabbo, periferia est di Jabaliyah.
“Nella tarda mattinata del 7 gennaio 2009 – si legge nel report – i carrarmati israeliani si spostarono in un piccolo pezzo di terra agricola di fronte alla casa. Poco dopo le 12:30, gli abitanti di quella parte di Izbat Abd Rabbo udirono dei messaggi al megafono che invitavano tutti i residenti a lasciare [le loro case ndr]
Verso le 12:50, Khalid Abd Rabbo, sua moglie Kawthar, le loro tre figlie, Souad (9 anni), Samar (5 anni) e Amal (dai 3 anni), e sua madre, Hajja Souad Abd Rabbo, uscirono fuori di casa, tutti portando bandiere bianche. A meno 10 metri dalla porta c’era stato un carro armato, si voltò verso la loro casa. Due soldati erano seduti su di esso e stavano consumando uno spuntino (uno stava mangiando patatine e l’altro del cioccolato, secondo uno dei testimoni). La famiglia si fermò, in attesa degli ordini dei soldati come avrebbe dovuto fare, ma nessuno lo diede. Senza preavviso, un terzo soldato uscì dall'interno del carro armato e iniziò a sparare sulle tre bambine e poi anche sulla loro nonna. Diversi proiettili colpirono Souad al torace, Amal allo stomaco e Samar nella nuca. Khalid e Kawthar Abd Rabbo trasportarono le loro tre figlie e la madre all'interno del casa. Lì, loro ed i membri della famiglia che erano rimasti dentro cercarono di chiamare aiuto da un telefono cellulare.
Hanno anche chiesto aiuto a un vicino di casa, Sameeh Atwa Rasheed al-Sheikh, che era un conducente di un'ambulanza e aveva la sua ambulanza parcheggiata vicino alla sua casa e che decise di venire in loro aiuto. Si mise i vestiti d’equipaggiamento per l’ambulanza e chiese a suo figlio di indossare un giubbotto fluorescente.
Guidarono per pochi metri dalla loro casa nelle immediate vicinanze di Abd Rabbo, quando i soldati israeliani vicino alla casa Abed Rabbo ordinarono loro di fermarsi e uscire dalla veicolo. Al Sameeh-Sheikh protestò dicendo che stava aiutando la famiglia Abd Rabbo e doveva portare i feriti in ospedale. I soldati ordinarono a lui e suo figlio di spogliarsi e poi rivestirsi. Poi ordinarono loro di abbandonare l'ambulanza e di camminare verso Jabaliyah. Quando la famiglia tornò a Izbat Abd Rabbo il 18 Gennaio, trovò che l'ambulanza era ancora nello stesso posto, ma era stata schiacciata, probabilmente da un carrormato.
All'interno della casa Abed Rabbo, Amal e Souad morirono per le ferite. [...] Samar venne trasferita all'ospedale Al-Shifa e poi, attraverso l'Egitto, in Belgio, dove è attualmente ricoverata in ospedale. Secondo quanto detto dai suoi genitori, Samar ha subito una lesione spinale e resterà paraplegica per il resto della sua vita”.
Le violazioni al diritto internazionale rilevate a carico del Governo di Gerusalemme vanno dall’uso sproporzionato della forza militare – il fascicolo Goldstone ricorda che l’esercito israeliano è uno dei più potenti al mondo – all’impiego, accertato per mezzo di prove e testimonianze, delle bombe al fosforo bianco vietate dalle convenzioni internazionali. Nel rapporto sono inoltre contenuti capitoli riguardanti la distruzione di case e ospedali e l’utilizzo dei civili come scudi umani per fermare i lanci dei razzi dei militanti palestinesi.
Agli attacchi condotti da questi dentro il territorio israeliano è dedicata la terza parte del rapporto che specifica “la Missione è stata impossibilitata a condurre un’investigazione sul sito a causa della decisione del Governo di Israele di non cooperare” .
Per questo motivo il pool ha potuto condurre solo interviste telefoniche e pubblicare dati riguardanti l’attività terroristica condotta dai tre principali gruppi armati palestinesi: Izz al-Din al Qassam Brigades987, al Aqsa Martyrs’ Brigades e Islamic Jihad. A loro è ascritto il reato di aver lanciato circa 8000 razzi dal confine di Gaza verso il territorio israeliano dal 2001.
Per ciò che concerne il periodo preso in esame dalla Missione il dossier riporta:
“Tra il 18 giugno 2008 e il 31 luglio 2009, ci sono stati quattro morti in Israele come un conseguenza di razzi e colpi di mortaio da Gaza, fra i quali tre vittime civili e un militare.
Il 27 dicembre 2008, Beber Vaknin, 58 anni, di Netivot è stato ucciso quando un razzo sparato da Gaza ha colpito un edificio residenziale a Netivot. Il 29 dicembre 2008, Hani al-Mahdi, 27 anni, di Aroar, un insediamento beduino a Negev, è stato ucciso quando un missile tipo Grad sparato da Gaza è esploso in un cantiere in Ashkelon. Lo stesso giorno, in un altro incidente, Irit Sheetrit, 39 anni, è stato ucciso, e diversi sono stati i feriti, quando un razzo Grad è esploso nel centro di Ashdod. Le brigate al-Qassam hanno rivendicato la responsabilità per l'attacco.
Il 29 dicembre 2008, un membro delle forze armate, Warrant Officer Lutfi Nasraladin, 38 anni, del comune di drusi Daliat el-Carmel, è stato ucciso da un attacco di mortaio su una base militare vicino a Nahal Oz”.
Questi, fra gli altri, i reati compiuti dalle due fazioni in guerra che, secondo quanto rivelato nel rapporto avrebbero infranto la maggior parte delle leggi interne e internazionali sui diritti umani dalla Convenzione di Ginevra del 1949 alla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici.
La Missione che – si legge – “ha investigato un grande numero di casi [...] ha rilevato che molti di questi hanno sostanza”.
Dopo il dibattito di oggi, precedentemente rinviato a marzo per le proteste ufficiali di Israele e poi riaperto dopo le pressioni di Amnesty International e dell’Europa, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu potrebbe richiedere a Israele e all’Autorità palestinese di dimostrare l’avvio di un’indagine imparziale sui crimini di guerra accertati nel dossier. Allo scadere dei sei mesi dalla possibile istanza l’Onu dovrebbe inviare i fascicoli al procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja.
Luciana P. Pellegreffi
Translation services
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