La decisione presa all'unanimità dall'assemblea degli abitanti di Bundanoon. Si estende la campagna contro un prodotto giudicato inutile e dannoso per l'ambiente.
Se Al Capone fosse vivo non crederebbe ai suo occhi. A quasi un secolo dal proibizionismo che mise al bando gli alcolici negli Stati Uniti rendendolo ricco, un piccolo centro dell'Australia, Bundanoon, 2.500 anime lontane circa 150 chilometri da Sydney, ha varato da qualche giorno un nuovo divieto che il vecchio boss mafioso non avrebbe mai pensato possibile. A sparire dagli scaffali di negozi e supermercati non sono whisky e gin, ma le bottiglie di minerale. Naturalmente nel mirino non ci sono gli effetti su chi beve, ma quelli che l'imbottigliamento e la distribuzione di acqua frizzante producono sul Pianeta.
"Mentre i leader politici combattono con i problemi del cambiamento climatico, non dimentichiamo che ciascuno di noi può fare la differenza a livello locale. L'industria delle bevande realizza enormi profitti vendendo qualcosa che si può avere gratis", spiega Huw Kingston, il portavoce della campagna ecologista culminata con il voto favorevole a larghissima maggioranza di un'assemblea di cittadini.
Uno studio di qualche anno fa evidenziava che ogni anno si consumano 81 milioni di litri di petrolio e 600 miliardi di litri di acqua (necessari alla lavorazione della plastica) per produrre 154 miliardi di minerale in bottiglia. Per produrre un chilo di Pet (polietilene tereftalato), la plastica usata per l'acqua, sono necessari infatti poco meno di due chili di petrolio e 17 litri di acqua, la cui lavorazione rilascia nell'atmosfera 2,3 chili di anidride carbonica oltre ad altre sostanze inquinanti. Per quanto sorprendente, la scelta di rendere un'intera comunità off limits non arriva quindi del tutto inaspettata. Da tempo in tutto il mondo si organizzano campagne e iniziative per limitare il consumo di acqua imbottigliata e promuovere l'uso degli acquedotti pubblici.
Negli Stati Uniti tra le città in prima fila ci sono anche due simboli come New York e San Francisco, dove l'amministrazione ha vietato l'acqua minerale all'interno degli uffici pubblici. In Italia - circa 12,2 miliardi di litri venduti nel 2006 e il 97% delle famiglie che acquista minerale più o meno regolarmente (ricerca Eurisko del 2004) - ha fatto scalpore la pubblicità che immortala Massimo Cacciari mentre pubblicizza "l'acqua del sindaco", ma il movimento per contrastare l'abuso di bottiglie di plastica e i costi ambientali legati al loro trasporto è molto vasto.
"Ormai è una crociata che si basa su convinzioni politiche più che su dati scientifici", lamenta sconsolato Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, la federazione che riunisce i produttori di minerali. "Noi - aggiunge - dal punto di vista ambientale abbiamo le carte in regola. Negli ultimi anni abbiamo ridotto drasticamente il peso delle bottiglie e dei tappi, battendoci per poterle realizzare anche con materiale proveniente da Pet riciclato, come avviene nel resto d'Europa. Inoltre con il 15% contro il 5% della media nazionale siamo di gran lunga i maggiori utilizzatori del trasporto su rotaia". Fortuna ci tiene poi a precisare che la situazione italiana è diversa da quella del resto del mondo. "Da noi - ricorda - nessuno osa vendere come acqua minerale acqua semplicemente filtrata, si commercializza esclusivamente acqua di sorgente purissima, che è una cosa ben diversa dall'acqua potabile dei rubinetti, dove tra l'altro la potabilità è spesso stabilita a suon di deroghe politiche sui limiti di arsenico".
Un'accorata autodifesa che non convince però Stefano Ciafani, direttore scientifico di Legambiente, una delle associazioni promotrici della campagna "Imbrocchiamola" per incrementare l'uso dell'acqua pubblica. "I dati usati dai produttori per screditare gli acquedotti - replica - non sono frutto di studi indipendenti, tanto che recentemente abbiamo denunciato per procurato allarme una ricerca 'su commissionè sulla contaminazione dell'acqua di Napoli. Solo un massiccio lavaggio del cervello attraverso la pubblicità può giustificare il ricorso alla minerale e i gravissimi costi ambientali che comporta".
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"Le guerre dell'acqua"
Luciana P. Pellegreffi
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