Il 17 novembre la sentenza per la strage di brescia: assolti i cinque imputati accusati dell'attentato del 28 maggio '74 in piazza della Loggia. Beccalossi: «Indagini solo a destra». Corsini ribatte: «Parole indegne». Lucarelli: «C'è la ricostruzione». Camusso: «Via il segreto di Stato». Bresciaoggi.it
------Qui le riflessioni di Federico Sinicato, avvocato di parte civile al processo -----
Centottanta udienze, più di quattrocento testimoni e un milione di carte sono stati necessari per ricostruire davanti alla Corte d'Assise di Brescia la strategia della tensione creata nella prima metà degli anni'70 per tenere la nazione sotto lo scacco della perenne minaccia di un pronunciamento militare e reazionario che impedisse il libero sviluppo del paese verso una democrazia compiuta.
Cinque imputati accusati di avere a vario titolo partecipato all'ultimo atto di quell'infame ricatto che per più anni ha visto impegnate le forze più retrive del sistema militare e istituzionale italiano al fine di istigare giovani terroristi senza futuro e vecchi fascisti senza vergogna al massacro di cittadini e lavoratori inconsapevolmente scelti come vittime sacrificali sull'altare della guerra fredda.Due Magistrati di grande esperienza e sei cittadini catapultati nelle tane più orrende del nostro passato repubblicano si sono confrontati per due anni sulle responsabilità per ciò che avvenne la mattina del 28 maggio 1974 in Piazza della Loggia durante la manifestazione antifascista indetta dalle organizzazioni sindacali bresciane.
Sette giorni è durata la Camera di Consiglio dalla quale si attendeva il giudizio sulle responsabilità dell'estrema destra stragista di Ordine Nuovo e di Ordine Nero, sull'eventuale mandato dato da Pino Rauti a Carlo Maria Maggi, sui compiti organizzativi affidati a Delfo Zorzi, sul ruolo operativo di Maurizio Tramonte e sulla supervisione dell'allora Capitano dei Carabinieri Girolamo Delfino.
Cinque imputati accusati di avere a vario titolo partecipato all'ultimo atto di quell'infame ricatto che per più anni ha visto impegnate le forze più retrive del sistema militare e istituzionale italiano al fine di istigare giovani terroristi senza futuro e vecchi fascisti senza vergogna al massacro di cittadini e lavoratori inconsapevolmente scelti come vittime sacrificali sull'altare della guerra fredda.Due Magistrati di grande esperienza e sei cittadini catapultati nelle tane più orrende del nostro passato repubblicano si sono confrontati per due anni sulle responsabilità per ciò che avvenne la mattina del 28 maggio 1974 in Piazza della Loggia durante la manifestazione antifascista indetta dalle organizzazioni sindacali bresciane.
Sette giorni è durata la Camera di Consiglio dalla quale si attendeva il giudizio sulle responsabilità dell'estrema destra stragista di Ordine Nuovo e di Ordine Nero, sull'eventuale mandato dato da Pino Rauti a Carlo Maria Maggi, sui compiti organizzativi affidati a Delfo Zorzi, sul ruolo operativo di Maurizio Tramonte e sulla supervisione dell'allora Capitano dei Carabinieri Girolamo Delfino.
Il processo è stata un'occasione unica per quantità e qualità delle dichiarazioni testimoniali e dei documenti per squadernare ancora una volta davanti all'opinione pubblica la ferita inferta al tessuto democratico del paese proprio da coloro che erano chiamati a tutelarlo e per rendere evidente, se ce ne fosse stato bisogno, che ancora oggi un'ostinata omertà cerca di impedire la reale conoscenza di quei fatti e delle responsabilità politiche prima ancora che personali che hanno cambiato la storia d'Italia.
Le dichiarazioni di Carlo Digilio che addebita proprio a Maggi e Zorzi la decisione e preparazione dell'attentato e le confidenze al SID di Maurizio Tramonte alias fonte Tritone che parallelamente comunicava le scelte stragiste decise da Maggi e dai vertici di Ordine Nuovo erano il viatico offerto dal processo per la decisione.
La problematica credibilità di Digilio, più volte dibattuta e contrastata nei processi di Milano e la equivoca personalità di Tramonte, aggrovigliata nelle sue stesse interessate ritrattazioni, rendevano incerti i limiti di utilizzabilità di quelle ammissioni per un giudizio di condanna.
La straordinaria massa di documenti, allargando a dismisura il tavolo delle possibilità ha finito, paradossalmente, per rendere più difficile seguire un percorso chiaro verso la responsabilità degli imputati.
La "strana" uccisione di Esposti al Pian del Rascino tre giorni dopo la strage; il tentato colpo di Stato del MAR di Fumagalli impedito da una "brillante" operazione del Capitano Delfino proprio poco tempo prima; i tanti interrogativi rimasti aperti dopo le sentenze assolutorie dei vecchi processi sul "gruppo Buzzi" e sui "milanesi" di Cesare Ferri hanno pesato non poco nel rendere intellegibili i ruoli di ciascuno in questa tragica vicenda che lasciando sul selciato otto persone e tanti feriti ha chiuso un periodo storico allucinato nel quale trovano le loro radici, purtroppo, troppi segreti inconfessabili e l'intero bagaglio di diffidenza che da allora grava sul popolo italiano nei confronti del potere.
La Piazza sporca di sangue e detriti fu immediatamente lavata perché non si guardasse lo scempio e da allora attendevamo il momento di vedere finalmente le facce e le mani dei colpevoli.
La città di Brescia ha seguito il processo con grande compattezza e i suoi giornali locali ne hanno dato conto in tutti i passaggi più importanti: nel momento del confronto a distanza con il Generale Maletti lucido esegeta dell'era andreottiana, nella drammatica sfilata dei "ragazzi di buona famiglia" con il tritolo nell'armadio e la voglia di svastica; nel serrato racconto di Fioravanti e dei giovanotti di Ordine Nero stretti nei loro inconfessabili segreti, nella plateale sfida alla giustizia della ritrattazione di Tramonte.
Non bastano, invece, le telecamere e i microfoni dell'ultima ora per dimenticare la sconfortante assenza dei media nazionali in questi due anni.
Ma ora entra la Corte nel silenzio teso dell'aula.
Nel gelo della sala gremita calano le cinque sentenze di assoluzione per insufficienza di prove.
Ci sarà un momento per fare valutazioni più approfondite e per capire quali sono stati i dubbi della Corte.
Resta oggi l'amarezza di un'occasione sprecata per fare chiarezza sul periodo più buio della nostra storia. A più d'uno viene il pensiero che il nostro sistema giudiziario non abbia gli strumenti adatti per giudicare questi fatti che coinvolgono responsabilità politiche oltre che personali e mentre queste ultime vengono sempre eluse, quelle organizzative e morali sono, una volta di più, storicamente accertate.
Le dichiarazioni di Carlo Digilio che addebita proprio a Maggi e Zorzi la decisione e preparazione dell'attentato e le confidenze al SID di Maurizio Tramonte alias fonte Tritone che parallelamente comunicava le scelte stragiste decise da Maggi e dai vertici di Ordine Nuovo erano il viatico offerto dal processo per la decisione.
La problematica credibilità di Digilio, più volte dibattuta e contrastata nei processi di Milano e la equivoca personalità di Tramonte, aggrovigliata nelle sue stesse interessate ritrattazioni, rendevano incerti i limiti di utilizzabilità di quelle ammissioni per un giudizio di condanna.
La straordinaria massa di documenti, allargando a dismisura il tavolo delle possibilità ha finito, paradossalmente, per rendere più difficile seguire un percorso chiaro verso la responsabilità degli imputati.
La "strana" uccisione di Esposti al Pian del Rascino tre giorni dopo la strage; il tentato colpo di Stato del MAR di Fumagalli impedito da una "brillante" operazione del Capitano Delfino proprio poco tempo prima; i tanti interrogativi rimasti aperti dopo le sentenze assolutorie dei vecchi processi sul "gruppo Buzzi" e sui "milanesi" di Cesare Ferri hanno pesato non poco nel rendere intellegibili i ruoli di ciascuno in questa tragica vicenda che lasciando sul selciato otto persone e tanti feriti ha chiuso un periodo storico allucinato nel quale trovano le loro radici, purtroppo, troppi segreti inconfessabili e l'intero bagaglio di diffidenza che da allora grava sul popolo italiano nei confronti del potere.
La Piazza sporca di sangue e detriti fu immediatamente lavata perché non si guardasse lo scempio e da allora attendevamo il momento di vedere finalmente le facce e le mani dei colpevoli.
La città di Brescia ha seguito il processo con grande compattezza e i suoi giornali locali ne hanno dato conto in tutti i passaggi più importanti: nel momento del confronto a distanza con il Generale Maletti lucido esegeta dell'era andreottiana, nella drammatica sfilata dei "ragazzi di buona famiglia" con il tritolo nell'armadio e la voglia di svastica; nel serrato racconto di Fioravanti e dei giovanotti di Ordine Nero stretti nei loro inconfessabili segreti, nella plateale sfida alla giustizia della ritrattazione di Tramonte.
Non bastano, invece, le telecamere e i microfoni dell'ultima ora per dimenticare la sconfortante assenza dei media nazionali in questi due anni.
Ma ora entra la Corte nel silenzio teso dell'aula.
Nel gelo della sala gremita calano le cinque sentenze di assoluzione per insufficienza di prove.
Ci sarà un momento per fare valutazioni più approfondite e per capire quali sono stati i dubbi della Corte.
Resta oggi l'amarezza di un'occasione sprecata per fare chiarezza sul periodo più buio della nostra storia. A più d'uno viene il pensiero che il nostro sistema giudiziario non abbia gli strumenti adatti per giudicare questi fatti che coinvolgono responsabilità politiche oltre che personali e mentre queste ultime vengono sempre eluse, quelle organizzative e morali sono, una volta di più, storicamente accertate.
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