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26.5.10

ISTAT: TASSO DI DISOCCUPAZIONE PEGGIORE DAL 1995

Più che una fotografia dell'Italia, uno scenario di guerra. È questa l'immagine desolante che fornisce l'Istat nel suo Rapporto annuale 2009: sempre più disoccupazione, povertà, precari, anziani, ignoranza; sempre meno giovani e donne inserite nel mondo del lavoro, sempre meno potere d'acquisto per le famiglie, sempre meno bambini e laureati.
Nel 2009 si è registrato il peggior calo dell'occupazione dal 1995. Gli occupati, spiega l'Istat nel Rapporto 2009, si sono ridotti di 380 mila unità (-1,6%), «con cali sostenuti nel corso dell'intero 2009 e in peggioramento negli ultimi sei mesi».
Qui di seguito alcuni dei punti indicati dall'Istat:

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE 2009 TRIPLA RISPETTO A TOTALE Il mondo giovanile in Italia resta il più penalizzato dal punto di vista del lavoro. Lo scorso anno, riferisce l'Istituto di statistica, «il tasso di disoccupazione giovanile in Italia (25,4%) è più del triplo di quello totale (7,8%) e più elevato di quello europeo (19,8%). Il tasso di occupazione è sceso in un solo anno al 44% (dal 47,7% del 2008). Come nel 2008, il tasso di disoccupazione italiano è inferiore a quello dell'Ue (7,8 contro 8,9%), ma spiega l'Istat, «si associa tuttavia a un tasso di inattività più alto e in crescita (37,6 contro 28,9%). Le differenze di genere continuano a essere elevate (uomini: 6,8%; donne: 9,3%). Per il secondo anno consecutivo aumentano i disoccupati (15%, pari a 253 mila unità), che giungono a quasi due milioni e risultano ancora in crescita nei primi tre mesi del 2010. La crescita della disoccupazione riguarda soprattutto il Nord (37%) e il Centro (18,9%), mentre è limitata nel Mezzogiorno (1,4%), sebbene circa metà delle persone in cerca di occupazione risieda proprio nelle regioni meridionali». Quasi il 90% dell'aumento di disoccupati nel 2009, sottolinea l'Istat, è dovuto a persone che hanno perso il posto di lavoro e gli ex occupati rappresentano nel complesso metà dell'intera platea dei disoccupati.

GIOVANI E PRECARI,300MILA OCCUPATI IN MENOTra i giovani che hanno perso il lavoro, a risentirne di più sono quelli che vivono ancora in famiglia e sono impegnati in lavori precari e con bassi profili professionali. «L'impatto della fase ciclica negativa - sottolinea l'Istat - ha avuto un forte impatto sulla popolazione giovanile determinando una significativa flessione degli occupati 18-29enni (300 mila in meno rispetto al 2008, il 79 per cento del calo complessivo dell'occupazione). Una parte significativa di questa caduta riguarda il lavoro atipico (-110 mila unità). Si è inoltre creato un allargamento dell'area dei giovani non impegnati né in un lavoro né in un percorso di studi (142mila).
L'Italia ha il più alto numero di giovani che non lavorano e non studiano. Alcuni li chiamano già "Neet" (Non in education, employment or training) e nel nostro paese sono oltre 2 milioni. Per questo, l'Italia ha il primato europeo.
Hanno un'età fra i 15 e 29 anni (il 21,2% di questa fascia di età), per lo più maschi, e sono a rischio esclusione. Questi giovani sono coinvolti nell'area dell'inattività (65,8%). Il numero dei giovani Neet è molto cresciuto nel 2009, a causa della crisi economica: 126 mila in più, concentrati al nord (+85 mila) e al centro (+27 mila). Tuttavia il maggior numero, oltre un milione, si trova nel Mezzogiorno. Fra i Neet si trovano anche laureati (21% della classe di età) e diplomati (20,2%). È un fenomeno in crescita; nel 2007 (dati Ocse), l'Italia già registrava il 10,2% di Neet contro il 5,8% dell'Ue).
Chi sono i giovani Neet? Sono coloro che perdono il lavoro e quanto più dura questo stato di inattività tanto più hanno difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro. Tra il primo trimestre del 2008 e lo stesso periodo del 2009 la probabilità di rimanere nella condizione di Neet è stata del 73,3% (l'anno precedente era il 68,6%), con valori più elevati per i maschi residenti al nord. Alla più elevata permanenza nello stato di Neet si accompagna anche un incremento del flusso in entrata di questa condizione degli studenti non occupati (dal 19,9% al 21,4%) ed una diminuzione delle uscite verso l'occupazione.

CALANO LE DONNE OCCUPATE, SOLO MALTA PEGGIO DELL'ITALIA
Prima di Malta, e penultima in Europa. In Italia «il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è sceso nel 2009 al 46,4%», il più basso in Europa a parte Malta, appunto. Solo il Mezzogiorno, «che già presentava bassi tassi di occupazione femminile, ha assorbito quasi metà del calo complessivo delle occupate (-105 mila donne)». Nel Rapporto 2009 dell'Istat si legge inoltre che «Le persistenti differenze che si riscontrano tra l'Italia e l'Ue possono essere spiegate anche dai differenti livelli del tasso di occupazione delle donne con basso titolo di studio: nel 2009 in Italia soltanto il 28,7% delle donne con la licenza media ha un'occupazione, contro il 37,7% dell'Ue». Nel nostro paese solo le laureate riescono a raggiungere i livelli europei, escludendo però le neolaureate, «che presentano difficoltà d'ingesso nel mercato del lavoro». Le donne in coppia e con figli le difficoltà si accentuano: «Considerando le 25-54enni e assumendo come base le donne senza figli - spiega l'Istat - , la distanza nei tassi di occupazione è di quattro punti percentuali per quelle con un figlio, di 10 per quelle con due figli e di 22 punti per quelle di tre o più. «Il peggioramento delle condizioni delmercato del lavoro imprime una battuta d'arresto alla crescita femminile nelle professioni più qualificate e spinge verso una ripresa del fenomeno della segregazione professionale di genere, con un rafforzamento della presenza delle donne nelle professioni già relativamente più femminilizzate».

ISTAT: FAMIGLIE IN DIFFICOLTÀ, AUMENTANO QUELLE INDEBITATE
La crisi economica ha colpito pesantemente le famiglie italiane. Far fronte a un'emergenza economica diventa sempre più difficile e quelle che hanno contratto un debito sono aumentate. «Tra il 2008 e il 2009 crescono le famiglie indifese nel far fronte a spese impreviste (dal 32 al 33,4% in media)». Aumentano anche le famiglie «in arretrato col pagamento di debiti diversi dal mutuo (dal 10,5 al 13,6% di quelle che hanno debiti) e quelle che si sono indebitate (dal 14,8 al 16,4%). Purtuttavia le famiglie e le imprese non finanziarie sono in una posizione »di netto vantaggio rispetto agli altri paesi europei« per quanto riguarda l'esposizione debitoria che è di oltre 30 punti percentuali inferiore alla media Uem in rapporto al Pil. Migliore risulta anche la situazione finanziaria delle famiglie italiane rispetto alla Uem, con una ricchezza netta pari a circa il doppio del Pil, meglio del Regno Unito e dei Paesi Bassi.

AUMENTA LA PRESSIONE FISCALE
La pressione fiscale in Italia è salita al 43,2% nel 2009, aumentando di tre decimi di punto rispetto all'anno precedente (42,9% nel 2008) e ampliando lo stacco di oltre tre punti percentuali con la media Ue che l'anno scorso si è attestata al 39,5% (dal 40,3% del 2008). È quanto si evince dal Rapporto annuale dell'Istat. «Caso unico» tra le grandi economie, sottolinea l'Istituto nazionale di statistica, nel Paese risultano in forte crescita le imposte in conto capitale (per quasi 12 miliardi di euro), sospinte da circa 5 miliardi di euro per il cosiddetto 'scudo fiscalè e dal versamento una tantum per l'imposta sostitutiva di alcuni tributi. È invece calato del 4,2% il gettito delle imposte indirette (già diminuito del 4,9% nel 2008), del 7,1% quello delle imposte dirette e dello 0,5% quello dei contributi sociali effettivi.

L'Italia "invecchia". È il secondo paese più anziano in Europa dopo la Germania. Secondo l'Istat nell'arco dei prossimi quarant'anni la speranza di vita per gli uomini potrebbe aumentare fino a superare gli 84 anni, per le donne gli 89 mentre il numero dei giovani fino a 14 anni potrebbe ridursi a 7,9 milioni, pari al 12,9 per cento della popolazione.
Gli indicatori strutturali e di carico demografico, stimati per l'anno preso in considerazione, confermano, registra il rapporto, «un quadro di forte invecchiamento della popolazione residente» (le persone di 65 anni e più rappresentano il 20,2 per cento della popolazione); una crescita complessiva della popolazione del 5,7 per mille (si superano i 60 milioni di residenti solo grazie all'apporto della popolazione straniera) ed un livello di fecondità (numero medio di figli per donna pari a 1,41) che, seppur in ripresa dagli anni novanta, ancora non consente di mantenere almeno costante la consistenza demografica. Forte è lo squilibrio generazionale: il rapporto di dipendenza tra le persone in età inattiva (0-14 anni e 65 anni e più) e la popolazione che «teoricamente» si fa carico di sostenerle economicamente (15-64 anni) è passato dal 48 al 52 per cento in dieci anni, a causa del peso crescente delle persone anziane (da 27 ogni 100 in età attiva nel 2000 a 31 nel 2009).
In base alle recenti tendenze demografiche uno scenario «verosimile» nell'arco dei prossimi 40 anni porta a prevedere, si legge, che il numero medio di figli per donna possa crescere fino a 1,58 nel 2050; la speranza di vita aumentare fino a raggiungere gli 84,5 anni per gli uomini e gli 89,5 per le donne; il numero dei giovani fino a 14 anni ridursi a 7,9 milioni (il 12,9 per cento della popolazione); la popolazione attiva contrarsi a 33,4 milioni (54,2 per cento) e quella degli over 64 salire a 20,3 milioni (da uno su cinque a uno su tre residenti nel 2050). Cambiamenti, questi, che potrebbero accentuare «ulteriormente lo squilibrio generazionale: l'indice di dipendenza degli anziani (ultra 64enni sulla popolazione in età attiva) potrebbe raddoppiare (61 per cento) e l'indice di vecchiaia salire a 256 anziani ogni cento giovani».

OLTRE UN MILIONE DI ITALIANI NON HA LETTO UN LIBRO NEL 2009
La formazione è un capitolo pieno di carenze in Italia. Non riesce ad incidere nell'inclusione sociale; sul conseguimento dei titoli superiori continua a pesare una «forte disuguaglianza» legata alla classe sociale della famiglia di provenienza degli studenti. Ciò - ritiene l'Istat - blocca la mobilità sociale.
Un esempio. Nel periodo 2004-2009 la quota di lavoratori diplomati passa dal 44,5% al 46,6% e quella dei laureati dal 14% al 17,2% ma «l'incidenza delle professioni qualificate e tecniche rimane sostanzialmente stabile acuendo il divario fra domanda ed offerta di lavoro degli occupati con medio-alto titolo di studio». Nel 2009, circa 16,5 milioni di occupati (72,4%) svolgono una professione adeguata al livello d' istruzione, 1,7 milioni (7,4%) ha un lavoro relativamente più qualificato mentre il 20,2% (4,6 milioni) è sottoinquadrato.
Rispetto al 2004, il fenomeno del sottoinquadramento interessa oltre un milione di persone in più. Quasi la metà dei sottoinquadrati sono giovani, con 15-34 anni; in termini relativi, l'incidenza che svolgono un lavoro non adeguato al proprio livello di istruzione è del 31% (+6,8% rispetto al 2004). Il fenomeno dei sottoinquadrati si registra nei lavori meno tradizionali: il 46,9% degli occupati a termine, il 40,1% di quelli in part time e il 30,5% nelle collaborazioni.
In generale, i livelli d'istruzione degli italiani sono «critici». Nel 2009, circa il 10% ha solo la licenza elementare o nessun titolo, il 36,6% la licenza media, il 40% il diploma e il 12,8% la laurea. Il 7,7% degli iscritti alle scuole superiori nel 2008-2009 ha ripetuto l'anno; il 12,2% degli iscritti al primo anno abbandona il percorso di studi, il 3,4% lascia al secondo anno. Nel Mezzogiorno sono del 14,1% e 3,8%.
Nel 2009, oltre 1.2 milioni dichiara di non aver letto neanche un libro e di non aver mai utilizzato il pc. La non lettura coinvolge 4 ragazzi su 10; circa il 20% non usa il pc.
La propensione alla lettura è condizionata dalla famiglia: i lettori superano il 72% se uno dei due genitori è laureato, se entrambi leggono. Anche l'utilizzo del pc avviene in casa, a scuola coinvolge appena 4 bambini su 10.
La posizione dell'Italia poi nell'alta formazione «è distante» da quella di altri importanti paesi europei: nel 2007 hanno conseguito un titolo terziario circa 60 persone ogni mille giovani (20-29 anni), a fronte dei 77 della Francia e di oltre 80 del Regno Unito e della Danimarca. Anche i titoli nelle discipline tecnico-scientifiche collocano l'Italia sotto la media Ue (12,1 a fronte di 13,8 per mille 20-29 anni), poco al di sopra di Spagna e Germania.
Il numero dei ricercatori a tempo pieno nelle imprese è salito di appena il 14% tra il 1990 e il 2008, contro il 40% della Germania. Nello stesso periodo, in Francia il numero dei ricercatori è raddoppiato e in Spagna triplicato.
26 maggio 2010
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