di Giandiego Marigo
Non è un argomento nuovo, forse, eppure, mai toccato a sufficienza. Io ne ho parlato assai, addirittura sin troppo, mi scuso con coloro cui l'argomento sia venuto a noia.
Ad un certo punto del mio cammino di vita, mi fu sottoposta una scelta, estremamente importante, perchè legata a quel che io ritengo essere il “libero arbitrio”, la sua qualità non era, quindi, affatto banale, tutt'altro.
Dopo gli anni dell'introspezione e del “personale è politico”, del Riflusso e della Sconfitta, per altro molto ipotizzata, delle ideologie mi si pose una domanda … sul cosa volessi fare della qualità del mio intervento sul mondo e su ciò che mi circondava.
Parto da me, parlando in prima persona non già per una forma di sfrenato egocentrismo, ma per rendere fluido e reale il discorso che faccio è perchè esso parte, inesorabilmente da ognuno di noi … dallo spirito.
La domanda era cosa volessi fare di tutti gli anni che avevo alle spalle, delle acquisizioni, delle scoperte, delle indagini introspettive, della mia diversità, della mia alterità, della strada percorsa sin lì.
Essa era stata pagata con moneta sonante, ogni passo era passato per la mia anima, lasciando tracce, e anche qualche cicatrice. Più o meno profonda.
Quegli anni diversamente plumbei, pesanti per il sistema, molto più di quanto sia mai stato denunciato, leggeri per chi li visse, perchè legati alla gioventù, alla fede, alla gioia, alla volontà ed alla convinzione assoluta che un mondo diverso e migliore non solo fosse possibile ma si stesse attuando.
La fatidica domanda era … se fosse mio interesse e mia scelta, delimitare l'orticello di consapevolezza che mi ero costruito, faticosamente, con un artistico muretto a secco (anche l'occhio del decrescente vuole la sua parte) oppure se fosse il caso di rimettersi in gioco, partendo dalla desolazione del deserto finale, dopo il riflusso restava quello e poco altro, per fare la cosa che la mia mente e la mia anima avevano imparato, anche dolorosamente, a fare in quegli anni … costruire ponti... completamente e diametralmente diverso ed opposto alla rassicurante cura dell'orto.
Ho, personalmente, operato la scelta dei ponti, anche se questo mi è costato la definizione di sognatore, utopista, anarcoide saltellante.
Credo, umilmente, che la differenza ed il fondamento per chi intenda operare oggi, sul fronte del cambiamento e dell'avanzamento della civiltà, sul fronte di quello che non esiterei a chiamare progresso, se una definizione di questa parola non relativistica e strumentale è possibile, sia proprio questa “Volontà”, quella di costruire ponti, di incontrare, condividere, allargare, ascoltare apprendere e rimandare. Di scambiare di aprire prospettive d'incontro e di confronto, del fare insieme, del parlare, del confrontarsi, dell'orizzontalità e della circolarità ... di fare di tutto questo piacevole bagaglio il proprio modo d'esistere e d'essere ...in buona sostanza l'essere quel che si dice e praticare quel di cui si parla … nella propria vita.
Di cercare strenuamente e tenacemente non già le ragioni dei distinguo ma quelle della condivisione, sebbene la marcatura del nostro essere non sia, per sua natura, men che radicale e men che precisa e d'assoluta alternativa sistemica.
Cercare l'incontro ed il rinnovamento, verificare e vivificare nella propria quotidianità le ragioni del nostro essere quello che siamo.
In questa chiave va intesa e letta l'esigenza di unità e di alternativa che scorre in questi giorni, in questa chiave essa va ricercata ed attuata. Non solo per strumentale convenienza e per esigenza materiale e politica, ma con uno sforzo qualitativo ed a suo modo spirituale, quello di cresceretro a questa cosa.
Bisogna ammettere che questo discorso è stato in parte affrontato, superficialmente e generalmente toccato di striscio da qualche intellettuale garante, maggiormente sensibile ed avanzato della "Lista Tsipras", ma non è ancora stato metabolizzato nè è mai diventato azione reale, se lo fosse gli sforzi sarebbero maggiori, tangibili e nulla potrebbe arginare questo “incontro di volontà” riunite e tese verso un obbiettivo comune.
Questa volontà supererebbe a piè pari e senza sforzo qualsiasi piccolezza e grettezza procedurale, abbattendo i muri degli orticultori, si farebbe beffe delle problematiche di segreterie, leader, e spazzerebbe sen09za difficoltà e nessuna violenza o forzatura le rendite di posizione.
Ma diciamocelo, compagni e chiediamocelo : "Chi è, se non ciascuno di noi, il padrone di queste volontà?"
È vero, i contenuti culturali e spirituali del 68/70 sono stati formattizzati ed impacchettati, confezionati e rivenduti in comodi kit di montaggio, era l'unico modo con il quale il potere poteva contenerli disinnescarli, ma attenzione questo è avvenuto quando la fede e la convinzione, la volontà e la forza che li sosteneva sono in qualche modo venute meno, sostituite dalle ambizioni, dalle strumentalità, dalle opportunità e dai compromessi, dalle convenienze e dal pragmatismo.
In ogni disfatta esiste una forma di collaborazione di chi perde … altrimenti non esisterebbe sconfitta , ma solo martirizzazione … e l'esperienza e la storia ci hanno insegnato che questa pratica è assolutamente da evitare per chi detenga il potere.
Costruire ponti e percorrerli, esserne parte e difenderli, con quello di cui siamo realmente convinti … non accettare la scontatezza e la immanenza delle divisioni, esse sono solo formalità, costruite di parole e qualche concetto, forme di costruzione murale, limiti posti per paura e per bisogno di appartenenza, tutti i loro contenuti possono essere oggetto di discussione, di scambio, di arricchimento di crescita … abbattere i dogmatismi, le regole libresche, le deduzioni inossidabili, le assolute certezze regolamentari, tutto può essere discusso da chi vuole capire, non giudicare, da chi vuole arrivare a comprendersi, da chi non vuole dividersi, ma crescere, da chi non sente il bisogno di crearsi la proria tifoseria ed il proprio orticello recintato.
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