Intervista al Dottor Paolo Pezzana, Presidente della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD), a cura di Luchino Galli, blogger e mediattivista
Dottor Pezzana, quando nasce la fio.PSD? Di cosa si occupa e chi sono gli associati?
La
fio.PSD, Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza
Dimora, persegue finalità di solidarietà sociale nell'ambito della grave
emarginazione adulta e delle persone senza dimora. Nasce nel 1985
dall'aggregazione spontanea di alcune realtà operative nel mondo dei
senza dimora e solo nel 1990 si costituisce formalmente in
un'associazione che andrà poi negli anni a riunire sotto il suo nome più
di 80 organismi, tra Pubblica Amministrazione ed enti privati, che si
occupano di homelessness e grave emarginazione sociale.
Ad
oggi la fio.PSD promuove il coordinamento di queste realtà creando una
rete attiva di organizzazioni pubbliche e private dal Nord al Sud del
territorio nazionale ma si rende inoltre anche il punto di contatto con
le Federazioni Europee.
Tra i nostri obiettivi primari ci sono la sensibilizzazione sulle tematiche di homelessness
e sui diritti delle persone vittime della grave emarginazione, con la
volontà di sollecitare l'attenzione al problema davanti agli
interlocutori sociali ed istituzionale, in una prospettiva di advocacy.
Fondamentali
sono i momenti di formazione e di ricerca nei quali cerchiamo di
coinvolgere i nostri associati e tutti coloro che sono interessati alla
comprensione del fenomeno tramite incontri, convegni e seminari.
I
bassi redditi, connessi al lavoro sempre meno retribuito e a pensioni
inadeguate, la precarietà lavorativa, la disoccupazione hanno effetti
dirompenti sul tessuto sociale italiano. La povertà estrema, nel nostro
Paese, si sta diffondendo e non è più così difficile precipitare
nell’indigenza assoluta e trovarsi per strada. Qual è l’esperienza della
fio.PSD in merito?
Fio.psd
lavora a stretto contatto con i propri associati e con il mondo della
grave emarginazione. Non ci mancano quindi le fonti che confermano
questa tendenza. Anche secondo i dati che emergono dalla Ricerca
Nazionale sulle Persone Senza Dimora ed i servizi loro dedicati che
abbiamo condotto insieme a ISTAT, Caritas Italiana ed il Ministero del
Lavoro e degli Affari Sociali e che a breve saranno presentati al
pubblico, ci sono sempre più insospettabili tra le fila degli homeless e
delle persone in situazioni di grave indigenza. La crisi dell’ultimo
periodo sta facendo affiorare molte di queste realtà e sta avvicinando
giornali e altri media all' argomento, purtroppo sempre più attuale.
È
di pochi giorni fa la notizia di un professore di un istituto superiore
che, dovendo pagare il mantenimento ai figli a seguito di una
separazione, di giorno va a lavorare come sempre ma la notte,
segretamente, va a dormire in un centro Caritas perché non riesce a
permettersi un affitto. E storie come questo sono all'ordine del giorno.
Dottor
Pezzana chi sono le persone senza dimora? E’ arbitraria o ha un
fondamento giuridico la distinzione tra persone “senza fissa dimora” e
persone “senza tetto”?
La
ricerca Senza Dimora si è basata sui criteri di Ethos,
http://www.fiopsd.org/files/ethos%20italia.pdf e su diverse modalità di
distinzione, tese a mettere l’accento non tanto sul mero elemento
abitativo, ma sulla condizione di disagio ed isolamento sociale,
relazionale, dinamico e multiforme che le persone in questa condizione,
per le cause più diverse e data la loro multidimensionale povertà,
debbono sopportare. L'indicazione “senza fissa dimora” sta gradualmente
sparendo, sostituita dalla generale condizione dell'essere senza dimora,
che va ad indicare tutti coloro i quali, nonostante abbiano un tetto
sopra la testa, vivano situazioni di grave emarginazione sociale. La
distinzione tra le due situazioni, sebbene non abbia fondamento
giuridico, può essere ancora utile quando si parla della residenza
anagrafica - da uno stralcio del testo “Parere di fio.PSD sulla
circolare 108947/2011 della Direzione dei Servizi Civici e dell’Anagrafe
del Comune di Genova” si può infatti leggere “In questo
testo si farà ricorso al termine “persona senza fissa dimora” ogni qual
volta il riferimento sia alla qualificazione anagrafica della
fattispecie, e “persona senza dimora” ove il riferimento sia invece alla
presa in carico sociale della stessa. Ciò in quanto la dizione “senza
fissa dimora”, pur corretta se usata in ambito anagrafico, non coglie in
pieno, nel lessico impiegato da fio.PSD e dai suoi soci, la dimensione
di esclusione sociale vissuta dalle persone senza dimora, non di per sé
assimilabili alle categorie dei “girovaghi e circensi” per i quali la
legge anagrafica del 1954 aveva coniato la dizione “senza fissa dimora”.
Con Ethos abbiano una distinzione più specifica delle condizioni di emarginazione sociale basata sui seguenti criteri:
- Senza tetto: coloro che vivono senza riparo di alcun tipo, che dormono in strada.
- Senza casa: coloro che dispongono di un posto per dormire a tempo determinato, in istituzioni specifiche o dormitori.
- Sistemazioni insicure: coloro che vivono in locazioni insicure, sotto la minaccia di uno sfratto o subiscono violenze domestiche.
- Sistemazioni inadeguate: coloro che vivono in abitazioni quali baracche, caravan, campeggi abusivi, case inadatte o sovraffollate.
In
ogni caso occorre ricordare che la persona senza dimora è anzitutto una
persona e che ciascuno di noi lo è in potenza, se non in atto. Se si
dimentica questo, se si scorda cioè che non esiste per nessuno, in
questa società, una “assicurazione contro la povertà” o un “farmaco” per
guarirla, si continuerà a perpetrare la falsa illusione che dietro la
grave emarginazione risiedano una colpa soggettiva o una condizione
particolare di “malattia”; si tratta di stereotipi ancora molto diffusi,
nati per costruire una sorta di “barriera psicologica” tra noi
“normali” e gli altri “diversi” e tranquillizzare le nostre coscienze e routines
dinanzi alla scandalosa provocazione che la povertà lancia alla
fragilità della nostra comune condizione umana. Non cadere in queste
semplificatorie definizioni o rappresentazioni è forse uno dei pochi
modi che tutti abbiamo a disposizione per prevenire la nostra stessa
caduta in povertà o reagire più efficacemente ad essa quando dovesse
accaderci.
L’ordinamento
giuridico italiano come garantisce e tutela il diritto soggettivo
all’iscrizione anagrafica delle persone senza dimora, e cosa ha
comportato l’istituzione, presso il Ministero dell’Interno, del registro
nazionale delle persone senza fissa dimora?
Il
diritto alla residenza anagrafica nel nostro ordinamento
costituzionale, ove si sia nelle condizioni previste dalla legge (essere
un cittadino italiano, comunitario o extracomunitario, regolarmente
presente sul territorio nazionale, privo di iscrizione anagrafica in
altro Comune della Repubblica e avente nel dato territorio nella quale
la si richiede la sede principale dei propri affari, quali essi siano) è
un diritto soggettivo perfetto, implicito in tutti gli altri diritti
sociali poiché si pone come condizione burocratico-amministrativa
essenziale per potervi concretamente accedere. Purtroppo questo diritto
fondamentale, nel nostro Paese è come molti altri, un “diritto di
carta”, nel senso che è ancora inaccessibile per molte, troppe persone
sul territorio nazionale, visto che tanti Comuni, illegittimamente,
continuano a rifiutare iscrizioni anagrafiche che invece dovrebbero
effettuare, spesso sul falso presupposto che concedere una iscrizione
anagrafica ad una persona povera significhi dover spendere di più in
servizi sociali comunali. Fio.PSD ha dedicato a questo tema
un’importante campagna un paio di anni addietro, proprio per contrastare
le norme che il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza” dell’allora Ministro
Maroni voleva introdurre in materia anagrafica; è ancora attivo il sito
www.ilresidentedellarepubblica.it, entrando nel quale si può scaricare
un documento chiamato “Diario di un Diritto Negato”, che è forse una
delle più complete rassegne divulgative esistenti in questo momento in
Italia su questo tema. Rimando a questo per approfondire l’argomento,
così come al sito dell’Associazione Avvocato di Strada, che da anni
porta avanti, quasi sempre con successo, battaglie legali contro i
Comuni per ottenere questo diritto per le persone senza dimora.
Aggiungo
solo che, anche grazie all’azione di fio.PSD con la campagna che sopra
ho citato, il provvedimento, con il quale l’ex Ministro Maroni ha
istituito il Registro Nazionale delle Persone senza fissa dimora, ha
ottenuto un effetto paradossalmente benefico. L’attuale normativa
infatti costituisce questo registro come registro elettronico di secondo
livello, composto dal coordinamento dei registri anagrafici di tutti i
Comuni Italiani per quanto attiene le registrazioni effettuate a persone
senza dimora. Quello che poteva essere uno strumento discriminatorio e
ghettizzante si è così di fatto trasformato in una sorta di “obbligo”
burocratico per i Comuni a istituire e aggiornare questa sezione del
loro registro anagrafico ed in uno strumento di controllo diretto ed
indiretto per monitorare che le anagrafi locali adempiano correttamente a
questo loro compito fondamentale. Ciò che era e resta importante è che a
questo registro possano accedere solo gli ufficiali anagrafici e che
sia uno strumento di pura gestione anagrafica e non di controllo o,
peggio, di repressione. Per ora questo rischio, che certamente era tra i
propositi di qualcuno di coloro che allora lo proposero, è stato
scongiurato.
In base al censimento
generale del 2001, erano 23.336 le famiglie che vivevano in auto,
camper, roulotte, container, baracche, tende o altri alloggi e ricoveri
di fortuna. Risultano ben 71.101 nel censimento del 2011. Quante,
invece, le persone senza dimora? Sono state ufficialmente censite?
La
Ricerca condotta da fio.PSD, che ha visto nella sua ultima fase lo
svolgimento di 5.000 interviste a PSD (persone senza dimora), porterà a
conoscere il numero dei senza dimora in Italia ed il loro profilo. La
tipologia della PSD oggetto della Ricerca, così come concordato con il
Ministero, Caritas Italiana ed Istat, si rifà alla tipologia ETHOS. Le
71.101 famiglie individuate dal Censimento 2011 è molto probabile che
siano parte del totale finale che sarà reso noto da Istat entro la metà
di luglio 2012. Le persone che vivono in tali condizioni erano infatti
considerate, ai fini della ricerca, senza dimora, sebbene non possiamo
escludere che, vista la difficoltà che spesso si ha nel trovarle sul
territorio, alcune di loro siano “sfuggite” tanto alla nostra ricerca
quanto al Censimento. Credo avremo numeri impressionanti, ma, nella
nostra esperienza, continuiamo ad impressionarci per ogni singola storia
e ogni singolo volto che si cela dietro ad una persona senza dimora. I
numeri sono fondamentali per capire i fenomeni e decidere come allocare
al meglio le risorse per agire nel gestirli e contrastarli. Se manca la
volontà di farlo o il cuore per formare tale volontà, anche con i numeri
a disposizione tutto diventa molto più difficile.
Dottor
Pezzana quali risultati emergono dalla Ricerca nazionale sulla
condizione delle persone senza fissa dimora in Italia “Diamo un volto
agli invisibili”?
Dalla ricerca
emerge come il fenomeno della grave marginalità adulta sia in
preoccupante e costante aumento. E’ oramai evidente a tutti (coloro che
vogliono vederlo) come l’essere senza dimora non sia una “scelta di
vita” ma il risultato di un processo, a volte anche breve, che porta ad
una degenerazione personale. I principali fattori all’origine di questo
processo sono la perdita del lavoro, la crisi coniugale, la salute.
Molti sono gli stranieri. Le PSD non si spostano più da un posto
all’altro ma tendono ad essere abituali frequentatori dei medesimi
servizi. Per quanto concerne i Servizi erogati dalle Organizzazioni o
Enti invece si evidenzia come la percentuale di servizi dedicati al
recupero personale e alla costruzione di un percorso di uscita dalla
condizione di senza dimora sia molto bassa, creando di fatto una
condizione di auto-alimentazione del fenomeno. Emerge inoltre che i
servizi che a questo fenomeno si dedicano riescono a coprire poco più
della metà di quello che si può stimare essere il fabbisogno reale di
servizi delle persone senza dimora presenti in Italia, e che solo il 50%
dei servizi esistenti (la metà della metà di quelli che servirebbero)
ricevono in qualche modo finanziamenti pubblici, spesso esigui. Emerge
insomma, che la soddisfazione dei bisogni primari, ossia una
sopravvivenza dignitosa, che è la prima esigenza che un Paese dovrebbe
tutelare per chi in esso si trova, per i senza dimora in Italia è
anch’esso un diritto negato.
L’Italia non solo è
uno dei tre Paesi dell’Unione europea, insieme a Grecia e Ungheria, a
non avere istituito il reddito minimo garantito, ma è anche uno degli
Stati membri dell’Unione che destina meno risorse al sostegno del
reddito, alle misure di contrasto alla povertà, o alle prestazioni in
natura a favore di persone a
rischio di esclusione sociale.
Nel
rapporto 2011 redatto dallo European Committee of Social Rights,
l’Italia è stata condannata dal Consiglio d’Europa per la violazione
dell'articolo 31, comma 2 della Carta sociale europea, non avendo
attuato politiche di housing sociale “destinate a prevenire e ridurre lo
status di senza tetto in vista di eliminarlo gradualmente”.
Dottor Pezzana, perché le forze politiche di governo e le stesse Istituzioni sono così insensibili e sorde?
La
risposta dovrebbe probabilmente essere lunga e complessa, poiché non
basta pensare che la classe dirigente delle Istituzioni Italiane sia
insensibile o incapace o che semplicemente mancano le risorse. A volte,
molto banalmente, sono tentato di pensare che una risposta forse non ci
sia, e che questa perversa disattenzione per chi nel nostro Paese sta
peggio possa essere una tragica fatalità, ma questo sarebbe un errore
fatale. Le cause ci sono e vanno ricercate, scoperte e denunciate. Sono
cause storiche, culturali, politiche, economiche tutte intrecciate tra
di loro e certamente difficili da risolvere e governare per chiunque,
nel contesto istituzionale, le affronti da solo e con la sola buona
volontà. Noi siamo convinti che la grave emarginazione sia solo la punta
dell’iceberg dell’emarginazione sociale; sotto di essa sta una piramide
enorme e con essa solidale di situazioni e fattori che, come ho già
detto, ci pongono tutti a rischio; chi naviga le acque nordiche sa bene
quanto sia pericoloso e devastante il rovesciamento di un iceberg, e
questa crisi in termini metaforici sembra proprio rappresentarci ciò che
può accadere socialmente quando un sistema iniquo e ingiusto come
l’attuale contesto socio-economico si rovescia, facendo venire a galla
ciò che prima era sommerso e seminando il caos, un caos nel quale molti
purtroppo periscono tra flutti. “Conoscere per deliberare” era un motto
di Luigi Einaudi che considero particolarmente saggio ed importante. La
nostra speranza è che, sulla base dei dati che a breve saranno
disponibili e delle tante esperienze che chi lavora con l’emarginazione
ha in questo tempo accumulato, nei prossimi anni tutte le istituzioni
competenti, da quelle locali a quelle europee, da quelle sociali a
quelle economiche, possano finalmente formare un’alleanza per realizzare
un nuovo modello di sviluppo comunitario che porti in sé, a differenza
dell’attuale, l’obiettivo strutturale di non produrre povertà ed
emarginazione e di conseguire inclusione sociale per tutti, nel rispetto
delle differenze di ciascuno.
A Suo avviso quali
politiche di welfare sono necessarie per contrastare efficacemente la
crescente povertà ed emarginazione adulta e il connesso, drammatico
fenomeno sociale delle persone senza dimora?
Come
ho detto, serve un cambio di paradigma nel modello di sviluppo
complessivo, che riporti il valore della persona al centro e sia capace
di portare a valore tutte le persone. Non è un risultato che si consegue
da un giorno all’altro e serve il concorso di moltissimi fattori.
Nell’ambito dell’emarginazione tuttavia un buon primo passo nel nostro
Paese potrebbe essere quello di implementare un sistema dignitoso di
reddito minimo di cittadinanza, non inferiore ai 500 euro mensili,
insieme alla esigibilità del diritto all’alloggio (esistono Paesi in
Europa, come la Finlandia o la Francia, dove per legge si riconosce il
diritto di tutti a non dover essere costretti a trascorrere più di una
notte all’addiaccio) ed all’accessibilità del diritto
all’accompagnamento sociale da parte di servizi professionali di
adeguata capacità. Tutto questo ha un costo e richiede impegno e volontà
politica, più o meno quante ne servono per acquistare e mantenere in
servizio una cinquantina di caccia militari d’attacco F35. Purtroppo
dobbiamo constatare che al momento la volontà politica di fare quanto
serve per il primo obiettivo manca, mentre di caccia F35 ne possederemo
quasi cento. Si tratta di scelte, e dietro ogni scelta c’è una
responsabilità che è stata esercitata e che, in una libera democrazia
autentica, dovrebbe rispondere agli elettori delle proprie azioni.
Perché nessuno risponde per lo scandalo della povertà? Credo che la
risposta tocchi a ciascuno di noi.
29 giugno 2012
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