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Il nostro debito pubblico ha ormai sforato quota € 1.800 Mld, a fronte di un PIL che, al netto degli oneri finanziari, è intorno ai 1.600 (dati 2009). Questo debito pesa ogni anno per circa €80 Mld per la voce interessi sui Bot, per cui, se volessimo rimborsare il nostro debito pubblico in, poniamo, 20 anni, dovremmo varare 20 finanziarie da 90 Mld ciascuna, per la sorte capitale, più almeno altri 40 l’anno, per gli interessi a scalare. Ove poi volessimo gravare 20 finanziarie da 130 Mld l’una sui consumi popolari pubblici e privati, come piace ai mercati finanziari e agli economisti pseudo-liberisti oggi padroni delle università di tutto il mondo, ogni contrazione del mercato interno così indotta provocherebbe spaventosi effetti recessivi sul PIL pari a circa 4 volte i sacrifici imposti, ovvero pari in totale, nel nostro caso, a circa 10.400 Mld: assolutamente impensabile! Il paradosso, poi, è che poiché circa il 40% del PIL si traduce in entrate tributarie, queste ultime calano man mano che cala il PIL per effetto della recessione indotta dalla insana idea di così rimborsare il troppo debito pubblico pregresso (nell’esempio, di circa 160 Mld l’anno), per cui il rapporto debito/PIL peggiora continuamente anziché migliorare, in quanto il numeratore del rapporto cala meno velocemente di quanto cala (4 volte di più) il suo denominatore! Ne discende che l’unico modo per ridurre il nostro debito pubblico è in realtà gravarlo sulle banche e sui ceti risparmiatori, cosa che se solo vi accenniamo scatena la speculazione ribassista provocando un immediato crack borsistico-valutario.
Il paradosso, dunque, è che i mercati finanziari, mentre ripudiano ogni finanziaria che venga gravata sui ceti possidenti, accolgono positivamente finanziarie come quella varata pochi giorni fa dal governo Berlusconi, che, consistendo in 80 Mld appena, tutti gravati direttamente o indirettamente sui consumi popolari pubblici e privati e per giunta scaglionati in 4 anni, non impedisce affatto al debito di aumentare ulteriormente, ma riduce soltanto … la sua velocità di aumento, facendolo aumentare al ritmo di 60 Mld l’anno anziché 80, e solo per 4 anni, dopo i quali torna nuovamente ad aumentare al ritmo di 80 Mld l’anno, quando il debito pubblico è ormai passato da 1.900 a 2.140 Mld, il PIL è sceso da 1.600 a 1.240 Mld e le entrate tributarie sono scese di 144 Mld!
Da qui la irresistibile tentazione di “truccare” i conti pubblici, per gli amministratori, e quella di chiudere entrambi gli occhi, per i revisori contabili, gli organismi comunitari di controllo e le agenzie internazionali di rating. Ed infatti, guarda guarda, troviamo pure Draghi tra i revisori che hanno dato il nulla osta ai conti greci!
Una presa per il culo colossale, dunque, ma una presa per il culo che a ben vedere comincia sin dall’inizio. Quanti, infatti, si sono chiesti come comincia l’indebitamento pubblico?
Eppure non è difficile capire che se i redditi da capitale vengono sostanzialmente detassati (oggi pagano solo uno scandaloso 12,5%) e il carico fiscale viene gravato solo sui redditi da impresa (oltre il 50%) e da lavoro (dal 20 al 43%, quelli medio bassi), non ci sono poi abbastanza soldi per pagare pure gli sprechi della casta (stimati oggi tra 25 e 50 Mld, ovvero tra il 6 e il 12% della nostra spesa pubblica).
Insomma, il debito pubblico nasce a causa della detassazione dei “ricchi” e dei privilegi di cui si appropria la casta politico-amministrativa.
Poi cresce ulteriormente a causa degli interessi che vengono pagati su quegli stessi soldi che ci hanno prestato anziché versarceli come tasse! Nell’82, venne deciso di rendere autonoma dal governo la BdI, che allora era un ente di interesse pubblico e che dal ’94 è diventata una spa (oggi al 66% di proprietà di Intesa e Unicredit). Appena autonoma dal governo, e quindi dal parlamento, ma con ciò stesso dipendente dai “poteri forti”, la prima decisione che prese fu quella di maggiorare i tassi sui bot e il nostro rapporto debito/PIL, che dal ’72 all’81 oscillava intorno al 55%, prese a salire inesorabilmente del 3-5% all’anno, sino a raggiungere il 125% nel 2005!
E pensare, poi, che solo il 10% circa dei Bot sono detenuti da privati! Il 90% restante è invece semplicemente “collocato elettronicamente” presso delle banche, le quali si impegnano a fare man mano fronte ai mandati di pagamento pubblici fino a concorrenza degli importi “collocati”, e lo fanno con la gigantesca moneta creditizia “virtuale” che creano elettronicamente dal nulla grazie al sistema della così detta “riserva frazionaria”. “Virtuale” la moneta che finanzia “allo scoperto” il debito “collocato”, “virtuale” necessariamente, dunque, pure il debito così finanziato! “Reali” sono solo i sacrifici imposti al mondo del lavoro per fingere di ripagarlo!
Una gigantesca “finanza allegra”, dunque, attuata con la complicità del sistema creditizio anziché fatta direttamente dallo stato.
Inutile aggiungere, infine, che quando sono pubbliche le banche “collocatarie”, il debito pubblico “collocato” diventa per giunta una semplice partita di giro. Ed infatti era così fino al ’94, ovvero fino alla criminale svendita bipartisan delle nostre 4 banche pubbliche, praticata a prezzi … sottomultipli dei soli interessi sui bot ivi “collocati”!
Insomma: si fa credere che l’indebitamento pubblico sia tutto “reale” anziché quasi esclusivamente “virtuale”, per cui va assolutamente pagato se si vuole evitare il fallimento dello stato, tacendo dunque non solo dei conti pubblici “truccati”, ma soprattutto della entità e significato del “collocamento elettronico” dei bot. Poi si fa credere che non si possono tassare i redditi da capitale, poiché altrimenti questi fuggirebbero dall’Italia determinando il nostro crack borsistico, ovviamente senza dire che per evitarlo basta vietare la speculazione di borsa. Poi si rincara la dose non dicendo che i sacrifici imposti sono sia assolutamente insufficienti che inutili e, oltretutto, recessivi. Infine, si fa credere che … Devo dire altro? Nessun problema, lo faccio!
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