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20.8.10

STOP ALL'ALIMENTAZIONE ARTIFICIALE DEL PD

Non starò ad elencare tutti gli errori commessi dalla Sinistra in questo paese.
Sarebbe impresa improba: dovrei cominciare perlomeno dall'Aventino. (per i fatti più recenti e le responsabilità più evidenti per l'attuale stato delle cose basti leggere questo articolo

Noi Berlusconi l’Opposizione da l’Unità 24.11.2001

di Paolo Sylos Labini

Nella lunga lettera pubblicata su l’Unità del 22 novembre D’Alema risponde alle critiche da me sollevate alle sue scelte politiche nel libro-intervista «Un paese a civiltà limitata» e poi in un articolo pubblicato su l’Unità del 16 novembre.

Da principio riconosce la mia «buona fede nel credere ad un pettegolezzo che invecchiando diventa un mito, come scrive Stanislav Lec»; poi però si lascia un po’ andare e, riferendosi alla posizione da lui presa consentendo che la legge del 1957, che stabiliva l’ineleggibilità dei titolari di concessioni di rilevante interesse economico, venisse aggirata con un cavillo (titolare delle concessioni tv sarebbe stato non Berlusconi ma Confalonieri), afferma: «ciò che lei scrive è falso, caro professore» e ricorda, in primo luogo, che «nel luglio 1994 la Giunta per le elezioni della Camera dei deputati rigettò a maggioranza il ricorso contro la elezione di Silvio Berlusconi». Subito dopo aggiunge: «I deputati del mio partito votarono ovviamente contro, come gli altri parlamentari progressisti».

Sono costretto a ribattere: no, caro presidente, quello che scrivo non è falso e il suo ricordo non è esatto. A suo tempo, quando, per far rispettare quella legge, io ed altri amici costituimmo un gruppo di pressione, intorno al quale fu fatto un vuoto pneumatico, mi documentai con scrupolo; ho con me vari documenti. Così, negli atti della Giunta per le elezioni della Camera di mercoledì 20 luglio 1994 a pagina 3 risulta che l’unico oppositore fu il deputato ds Luigi Saraceni, che, come dichiarò ad un mio amico del gruppo di pressione e come mi ha confermato oggi per telefono, prese la decisione autonomamente: i suoi colleghi ds votarono a favore.

Tutto questo avveniva nel 1994, quando la maggioranza era del cosiddetto centrodestra. Anche più grave è ciò che accadde dopo le elezioni del 1996: allora la maggioranza era del centrosinistra ma non ci fu nessuna opposizione; anche in questo caso ho gli atti della Giunta - martedì 17 ottobre, pagine 10-12. Del 1996 il presidente D’Alema non parla. Di tutto questo scrissi diffusamente in un lungo articolo apparso nel fascicolo 5 del 2000 della rivista MicroMega; debbo ritenere che sia sfuggito alla sua attenzione.

Siamo d’accordo sulla regola, praticata dagli altri paesi europei, che sui ricorsi in materia d’ineleggibilità il giudizio non deve essere affidato al Parlamento, ma ad un organo esterno, come la Corte Costituzionale; questa esigenza, però, fu considerata in seguito e non nell’avvio della Bicamerale. Desidero essere chiaro: non sostengo che ci sia stato uno scambio Bicamerale/conflitto d’interessi. Sostengo una tesi diversa e cioè che una volta scelta come prioritaria la linea della Bicamerale l’inevitabile corollario - lo scrivo nel mio articolo su l’Unità - sarebbe stato quello di un atteggiamento non ostile verso il Cavaliere: non si poteva, da un lato, chiedere la sua collaborazione per riformare - niente meno - la Costituzione e, dall’altro lato, combatterlo con la necessaria intransigenza.

Questa è la mia tesi e non quella dello scambio che necessariamente presuppone una sorta di trattativa. Un altro corollario - anche questo scrivo nell’articolo - era quello di prendere le distanze dai critici duri e intransigenti di Berlusconi, ossia da quelli che sono stati denominati i «demonizzatori», una categoria alla quale appartengo.

Vedo, con rammarico, che lei non ha abbandonato l’idea che la «demonizzazione reciproca giova solo a Berlusconi». Mi sembra evidente che la linea alternativa, quella della legittimazione reciproca, è stata catastrofica per il centrosinistra ed ha giovato solo al Cavaliere, il quale ha incassato i vantaggi della legittimazione offerta dai ds, ma li ha ripagati continuando, anche più ossessivamente di prima, a definirli «comunisti», collusi con le «toghe rosse» e quant’altro: in breve, la non demonizzazione è stata unidirezionale.

Quanto alla tesi che i demonizzatori avrebbero portato acqua al mulino del Cavaliere, è una tesi smentita da un’analisi dei flussi elettorali diretta dal professor Ricolfi della Facoltà torinese di sociologia, secondo cui l’azione congiunta di vari «demonizzatori» ha spostato a favore del centrosinistra da uno a due milioni di voti pescandoli principalmente fra chi pensava di non andare a votare: questo ha ridotto quella che lei ha chiamato un’«incrinatura» - parlerei di una grave incrinatura - fra una parte dell’opinione pubblica di sinistra e i ds. Non sarebbe allora il caso di riconoscere che la critica dei demonizzatori va abbandonata? Che altro debbono combinare Berlusconi ed il suo governo per convincere tutto il centrosinistra che è necessaria un’opposizione intransigente? Lei, presidente D’Alema, riconosce che, nell’assai ambizioso progetto di riformare la Costituzione, Berlusconi non era un socio raccomandabile. Ma, osserva, le riforme si fanno in Parlamento e i soci non li scegliamo noi ma il popolo italiano. Un tale ragionamento dà per certo che, non le riforme in generale, ma - niente meno - la riforma della Costituzione non fosse in alcun modo procrastinabile. Non è così: era sconsigliabile intraprenderla fino a quando bisognava farla con un socio che aveva quel po’ po’ di conti da regolare con la giustizia. Io, proponendo idee condivise da molti miei amici, le inviai una lettera aperta pubblicata su Repubblica - certo se ne ricorda. D’altro canto, l’unica riforma veramente urgente era quella riguardante la giustizia, per la quale quel pessimo socio aveva evidenti interessi personali. Ma, a detta di numerosi giuristi e di magistrati, le più importanti riforme in questo campo potevano e dovevano essere attuate con leggi ordinarie, lasciando in pace la Costituzione.

Verso la fine della sua lettera osserva, rivolgendosi a me: «Lei non esclude - per una comprensibile indignazione civile - di dimettersi da italiano. Ma questa è una via preclusa a chi ha scelto l’impegno politico ed ha l’ambizione di tornare a governare questo paese ed intanto ha il dovere di concorrere a far vivere e funzionare le istituzioni». È vero: io non escludo di essere costretto a dimettermi da italiano. Ma per ora, come vede, non mi sono affatto dimesso. E l’opposizione a questa destra, sulla quale il suo ed il mio giudizio non differiscono molto (salvo che nell’idea che questa sia veramente una destra), dev’essere netta ed intransigente proprio per salvaguardare le istituzioni. Dico questo con una certa fiducia che anche su tale campo vitale le nostre differenze oramai non siano grandi: penso che quel che ha combinato il governo Berlusconi nei suoi primi centoventi giorni di vita abbiano fatto cadere ogni illusione, per via dell’assalto che hanno dato proprio alle istituzioni, a cominciare dalla giustizia. Come lei sa, le illusioni sono cadute anche nei nostri partner, in Europa e fuori, principalmente per il mostruoso conflitto d’interessi, che a detta di intellettuali che ben possono essere considerati di destra è all’origine del discredito - Sartori ha parlato di disprezzo - che oggi all’estero ricopre, non l’Italia, ma Berlusconi e il suo governo. In Parlamento ed a Pesaro ho notato segnali incoraggianti, come - faccio solo due esempi - la vigorosa reazione agli attacchi alla magistratura e l’appoggio, da lei proclamato, alla proposta del referendum volto ad abrogare la vergognosa legge sulle rogatorie, una proposta lanciata da tre riviste della sinistra liberale (MicroMega, Il Ponte, Critica liberale), alla quale auspichiamo che lei voglia aderire - proprio ieri abbiamo avuto l’adesione di Sergio Cofferati. È da considerare anche la possibilità di cancellare le altre due vergogne: la depenalizzazione del falso in bilancio e la gigantesca sanatoria fiscale legata al rientro di capitali. Sì, discutiamo pure delle formule - socialdemocrazia, liberalsocialismo - e, ancor più, dei programmi. Ma il cosiddetto popolo di sinistra vuole comprendere se i ds sono disposti a fare un’opposizione robusta e non oscillante.

Anche qui qualche segnale positivo c’è: recentemente lei su Berlusconi ha fatto dichiarazioni così dure che l’ottimo Giuliano Ferrara, che qualche mese fa paragonò Bobbio e me a Goebbels, l’ha minacciata d’includerla nella mia stessa categoria. Caro presidente, tutte le forze di opposizione sono nella stessa barca. Noi non chiediamo a nessuno prebende o posti e neppure orologi d’oro. Ci muove l’aspirazione a vivere in un paese dove non solo non venga la tentazione di dimettersi, ma in cui si possa vivere bene e senza angoscia civile. Se in qualche modo possiamo collaborare, eccoci qua.
Non starò ad elencare tutti gli errori commessi dalla Sinistra in questo paese.
Sarebbe impresa improba: dovrei cominciare perlomeno dall'Aventino. (per i fatti più recenti e le responsabilità più evidenti per l'attuale stato delle cose basti leggere questo articolo di Paolo Sylos Labini "Noi Berlusconi l’Opposizione" da l’Unità 24.11.2001
http://susyspecchi.splinder.com/post/20402688/dalema-il-grande-alleato-di-berlusconi)Quei 'quattro' colonnelli (forse meglio dire "caporali di giornata") che gestiscono il PD sono interessati a difendere solo il loro piccolo giardino e fin quando non glielo toglieremo le cose rimarranno assolutamente queste.Siamo stati tra quelli che hanno sognato una 'Debora Serracchiani', un leader che rompesse gli schemi stantii dell'apparato partitico.
Anche questa piccola speranza è morta e seppellita.Oggi leggiamo su La Repubblca queste parole di Ilvo Diamanti che fotografano la situazione direi in modo perfetto:
"(...) Da ciò il dubbio, il "mio" dubbio: se sia possibile costruire, in questo modo, un partito. Oppure se, dopo 15 anni di percorso unitario, dopo due anni appena dall'avvio del Partito Democratico, non ci si troverà di nuovo di fronte a un soggetto politico incoerente, disorganico, senza identità. Senza appigli comuni.
E senza leader in grado di riassumerlo. Perché chiunque vinca ci sarà subito qualcuno - molti - al lavoro per sostituirlo e prima delegittimarlo, sputtanarlo, indebolirlo.
D'altra parte, nessun congresso può costruire una leadership se non c'è la volontà e la disponibilità dei diversi leader ad accettarla. Oppure, se nessun leader è in grado di imporsi agli altri. Per autorevolezza, carisma, diplomazia, ricchezza, potere personale, sostegno lobbistico, retorica, immagine. Gli altri partiti, dal PdL alla Lega all'Italia dei Valori, non hanno avuto bisogno di congressi per creare un leader.
Semmai, è vero il contrario".

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