L’attuale scontro politico sui tagli alla sanità pugliese è preoccupante per le ripercussioni sia, in termini generali, sulla salute delle persone, e sia per quanto riguarda l’accesso alle cure. Ma sappiamo bene anche che l’organizzazione sanitaria incide solo per il 10-15% sulla salute di una popolazione. Soprattutto l’utilizzo dell’argomento come strumento di lotta politica ha sempre distratto l’attenzione dalla sostanza del problema. La riduzione dei posti letto fu, otto anni fa, un tema di lotta politica contro il governo regionale di centro-destra; oggi tagli di proporzioni anche maggiore sono motivo di contestazione al governo di centro-sinistra. Tagli che peraltro seguono un Piano Sanitario pieno di promesse ed ampliamenti dalla dubbia sostenibilità economica. Nel 2002 fummo contrari a quei tagli perché l’ospedale era l’unica risposta di salute. Se oggi molti cittadini si ricoverano impropriamente, non lo fanno solo per non pagare il ticket ma anche perché le liste di attesa sono troppo lunghe ed il ricovero è una scorciatoia per eseguire subito gli esami necessari senza pagarli di tasca propria. In questi anni la medicina del territorio, in particolare la medicina generale e ambulatoriale, ha ricevuto molte più risorse del passato. E’ giunto il tempo che si faccia carico di coloro che non necessitano di ricovero e di quanti vengono dimessi in condizioni subcritiche. Constatiamo ancora, purtroppo, che le persone che ne hanno bisogno non hanno facile accesso alle cure, i tempi di attesa per ricevere una visita o effettuare un esame sono molto lunghi ed incompatibili con i dettami della medicina moderna; i costi sono talvolta pagati di tasca propria, le attività di prevenzione languono in gravi difficoltà e la medicina del lavoro pubblica è quasi scomparsa. Il pensiero va a città industriali come Brindisi e Taranto oppure a Bari con la paventata chiusura dell’unico reparto di degenza rimasto. Per molte cure di malattie gravi i pugliesi migrano ancora verso strutture sanitarie del Centro-Nord; fuggono dalle carenze, dalla mancata previsione, dalla inefficace organizzazione e dallo scarso coordinamento. Siamo certi che questi migranti dolenti che, pur di curarsi bene, sono disposti ad affrontare viaggi lunghissimi, di centinaia di chilometri, accetterebbero volentieri di percorrerne solo poche decine in più, dall’inutile ospedale sotto casa, per raggiungerne uno efficiente all’interno della nostra regione. Il problema è constatare che restano in piedi rimasugli di ospedali inutili accanto a grandi ospedali sottoutilizzati e privi di specialità importanti. Non vediamo alcuna programmazione delle attività che mancano e temiamo che anche questa volta la politica non avrà la forza necessaria per contrastare la rivolta delle corporazioni sanitarie (medici, infermieri, burocrazie sanitarie) a loro volta spalleggiate dai politici locali atterriti dalla perdita di consenso e perciò disposte anche ad istigare autolesionistiche isterie dal basso. In questa situazione già di per sé preoccupante assistiamo allibiti all’elargizione fatta, dal governo regionale, a don Verzè di 120 milioni di euro per l’Ospedale San Raffaele di Taranto; un progetto che in nome dell’”eccellenza”, in realtà, per le partecipazioni “tecniche” ed azionarie, dirette ed indirette, che con ogni probabilità lo connoteranno, minaccia di essere un altro eccellente e poliedrico esempio di conflitto di interessi, stavolta applicato alla sanità, ossia alla salute pubblica Un’elargizione che si scontra con l’assenza di un vasto piano d’ammodernamento tecnologico delle strutture ospedaliere pubbliche. A noi, lo ribadiamo, non interessa il tecnicismo dei tagli; a noi interessa la salute dei pugliesi, quella salute che nessuno si occupa di misurare-valutare e che alcuni indicatori indiretti danno in peggioramento. Il contrasto alle fonti inquinanti è debole e quasi solo di facciata. Si consideri, a tal proposito, il problema delle emissioni nocive del siderurgico e della raffineria di Taranto, del petrolchimico del farmaceutico e del carbone di Brindisi; e ancora gli scarsi controlli delle acque e degli alimenti, le ispezioni nei luoghi di lavoro che ormai si fanno solo su richiesta. Se il contrasto è debole, la prevenzione non è certo in condizioni migliori; manca il registro regionale dei tumori e l’attività epidemiologica, da parte dell’ASL, intorno alle fonti di rischio ambientale e sanitario manca del tutto o quasi.
Non vediamo alcuna forma di contrasto al dilagante consumismo farmaceutico, vaccinale e radiologico che oltre ad essere fonte di spreco, è anche portatore di danno alla salute. L’informatizzazione delle attività cliniche – cartelle cliniche, visite, esami radiologici – è sporadica ed insufficiente con la conseguente ripetizione di procedure e l’incompleta presa in carico dei malati. Abbiamo chiesto, inascoltati, che fossero dati segnali precisi che facessero luce sulla commistione tra pubblico e privato anche all’interno delle strutture pubbliche; come per esempio, l’adozione di liste d’attesa uniche, per paganti e non paganti, così come ha fatto la regione Toscana per gli interventi chirurgici; l’abolizione dell’obbligo di prenotazione per alcune prestazioni specialistiche di base ad alta frequenza di richiesta. Il problema dei “tagli” dei posti letto ospedalieri, al quale non siamo pregiudizialmente contrari, non indebolisce la nostra continua richiesta di una sanità diversa da quella finora attuata in Puglia. Il riferimento non è solo agli scandali giudiziari ma, piuttosto, ad una nuova visione che privilegi la tutela della salute alla erogazione di prestazioni. Ai tempi dell’ antico impero cinese i medici venivano retribuiti fino a quando i loro assistiti erano in buona salute e non ricevevano più alcun compenso quando viceversa si ammalavano: forse la proverbiale saggezza cinese aveva colto nel segno e se anche noi ci armassimo della medesima saggezza, la nostra salute sarebbe certamente più tutelata.
Non vediamo alcuna forma di contrasto al dilagante consumismo farmaceutico, vaccinale e radiologico che oltre ad essere fonte di spreco, è anche portatore di danno alla salute. L’informatizzazione delle attività cliniche – cartelle cliniche, visite, esami radiologici – è sporadica ed insufficiente con la conseguente ripetizione di procedure e l’incompleta presa in carico dei malati. Abbiamo chiesto, inascoltati, che fossero dati segnali precisi che facessero luce sulla commistione tra pubblico e privato anche all’interno delle strutture pubbliche; come per esempio, l’adozione di liste d’attesa uniche, per paganti e non paganti, così come ha fatto la regione Toscana per gli interventi chirurgici; l’abolizione dell’obbligo di prenotazione per alcune prestazioni specialistiche di base ad alta frequenza di richiesta. Il problema dei “tagli” dei posti letto ospedalieri, al quale non siamo pregiudizialmente contrari, non indebolisce la nostra continua richiesta di una sanità diversa da quella finora attuata in Puglia. Il riferimento non è solo agli scandali giudiziari ma, piuttosto, ad una nuova visione che privilegi la tutela della salute alla erogazione di prestazioni. Ai tempi dell’ antico impero cinese i medici venivano retribuiti fino a quando i loro assistiti erano in buona salute e non ricevevano più alcun compenso quando viceversa si ammalavano: forse la proverbiale saggezza cinese aveva colto nel segno e se anche noi ci armassimo della medesima saggezza, la nostra salute sarebbe certamente più tutelata.
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