San Papier - protettore dei migranti della terra
La parola sciopero sa di stantio, è una parola piena di polvere, dimenticata su un armadio. Non la si tira giù nemmeno per le pulizie di Pasqua. Perché sciopero vuol dire diritti dei lavoratori. E chi è, ormai, che ce l’ha un lavoro? Contiamoci. E anche qualora ce l’avessi, magari garantito a tempo indeterminato le fabbriche, semplicemente, chiudono, e puoi scioperare quanto vuoi… ma la fabbrica non c’è più.
E’ quindi curioso che, in un contesto del genere, su Facebook sia nato un gruppo dal nome: Primo marzo sciopero degli stranieri.
(Questo gruppo si propone di organizzare una grande manifestazione non violenta per far capire all'opinione pubblica italiana quanto sia determinante l'apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società. Questo gruppo nasce meticcio ed è orgoglioso di riunire al proprio interno italiani, stranieri, seconde generazioni, e chiunque condivida il rifiuto del razzismo e delle discriminazioni verso i più deboli. Siamo collegati e ci ispiriamo a La journée sans immigrés : 24h sans nous, il movimento che da qualche mese, in Francia, sta camminando verso lo sciopero degli immigrati per il 1 marzo 2010. Il nostro logo è opera dell'artista siciliano Giuseppe Cassibba www.giuseppecassibba.com - n.d.r.)
E’ vero che l’iniziativa è partita dalla Francia 24 heurs sans nous, che a loro volta l’hanno ripresa dalle lotte degli immigrati negli Stati Uniti, ma qui siamo in Italia. E’ il paese di White Xmas a Coccaglio, tanto per dire l’ultima delle brillanti iniziative in materia di convivenza, il paese in cui Ministri della Repubblica vogliono demolire l’art. 1 della Costituzione (L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro) e il paese del reato di clandestinità. E quindi, verificata l’efficienza organizzativa di FB, dopo il successo della manifestazione del No B Day, Stefania Ragusa, Cristina Seynabou Sebastiani e Daimarely Quintero, sono partite da lì: hanno aperto un gruppo, iniziato a coinvolgere persone e si sono gemellate con i francesi. “E’ importante che la manifestazione abbia un respiro europeo” mi dice Stefania Ragusa al telefono. “Questo gruppo si propone di organizzare una grande manifestazione di protesta per far capire all’opinione pubblica italiana quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società”, si legge sul profilo. Chi si aggiunge al gruppo è immediatamente invitato a iscriversi alla mailing list (primomarzo2010@gmail.com) per creare un contatto più diretto e organizzarsi, costituire comitati territoriali: è importante agire in maniera capillare, riuscire a raggiungere tutti quelli che non hanno accesso a internet, non parlano la nostra lingua, non hanno un computer. E infatti i comitati sono già nati: Milano, Perugia, Palermo, Roma e altri ne stanno nascendo in questo momento (ognuno con la sua mailing list di riferimento). A ognuno viene chiesto un contributo, un’idea, anche perché bisogna rendere visibili le astensioni. L’attività sul territorio è importante perché le modalità dello sciopero vengono costruite insieme, a seconda delle caratteristiche di chi vi partecipa. Sì, perché qui sta l’elemento innovativo e coraggioso. Lo sciopero, dicevamo, lo sciopero dal lavoro non solo non se lo può permettere più nessuno, ma perde sempre di più il suo controvalore. Nel caso specifico, poi, gli stranieri vengono spesso sfruttati, pagati in nero, quando non sono addirittura senza lavoro. Che si scioperano, allora? E’ tra le prime obiezioni che vengono fatte. La verità è che sebbene lo strumento resti lo stesso: l’astensione, non sarà più solo dal lavoro. Ma soprattutto dal consumo. Il concetto di cittadino si è svuotato, se mai ha avuto un valore in Italia, oggi, che ci piaccia o no, siamo consumatori, è così che siamo considerati: solo per questo abbiamo un valore per chi comanda, e non è più il padrone a comandare, non quello nel senso tradizionale del termine almeno, quello che conta è cosa compri, come lo compri, in quali quantità. Se tutti gli stranieri (e tutti gli altri che aderiscono) per un giorno si astengono dal comprare dall’unico alimentari del paesello del nord est, se tutti quelli a Roma per un giorno non inviano soldi alla famiglia di origine tramite quel certo vettore, se per quel giorno non si fanno telefonate, non si prendono treni, non si prende il caffe’ nel bar della piazza. Ebbene, il mondo si accorgerà che esisti e che sei fondamentale per l’economia del paese, che puoi, se vuoi, avere un peso specifico e contare nelle decisioni che riguardano la comunità. Questo poi sarebbe un discorso da allargare a tutte le nuove forme di lotta e di rivendicazione dei diritti. Ma ora parliamo del primo marzo 2010. Un’ultima considerazione. Un’altra delle obiezioni che vengono fatte allo sciopero (non ultimo su un noto magazine allegato a un quotidiano nazionale) è che gli italiani non capirebbero. Come se noi fossimo da una parte e loro dall’altra. Questa è un’altra cosa che il gruppo che organizza lo sciopero, e quindi di conseguenza la manifestazione stessa, si propone di superare. La divisione tra italiani e stranieri. Quando si scrive di questi temi una delle difficoltà maggiori è proprio trovare i termini giusti, perché il vecchio linguaggio non basta più, non ha più senso, le vecchie parole non servono più a indicare il concetto che si vuole esprimere. Italiani e stranieri. I ragazzi di seconda generazione che sono italiani, ma che a causa dell’aspetto e delle abitudini vengono considerati stranieri e che parteciperanno alla manifestazione a fianco di chi ancora invece non riesce ad avere voce, sono stranieri o italiani? E gli italiani in Francia di seconda, terza generazione, sono stranieri, italiani o francesi? Quando si creano questi corto circuiti lessicali vuol dire che è ora di ripensare la realtà che viviamo. Le parole hanno un senso, che è quello di descrivere ciò che vediamo. Bisogna abituarsi all’idea che ciò che vediamo è cambiato e che vanno trovati nuovi nomi, nuove forme di lotta, vanno individuati i nuovi diritti da difendere e da conquistare. Spesso ci si chiede da dove cominciare. Io propongo da qui.
E’ vero che l’iniziativa è partita dalla Francia 24 heurs sans nous, che a loro volta l’hanno ripresa dalle lotte degli immigrati negli Stati Uniti, ma qui siamo in Italia. E’ il paese di White Xmas a Coccaglio, tanto per dire l’ultima delle brillanti iniziative in materia di convivenza, il paese in cui Ministri della Repubblica vogliono demolire l’art. 1 della Costituzione (L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro) e il paese del reato di clandestinità. E quindi, verificata l’efficienza organizzativa di FB, dopo il successo della manifestazione del No B Day, Stefania Ragusa, Cristina Seynabou Sebastiani e Daimarely Quintero, sono partite da lì: hanno aperto un gruppo, iniziato a coinvolgere persone e si sono gemellate con i francesi. “E’ importante che la manifestazione abbia un respiro europeo” mi dice Stefania Ragusa al telefono. “Questo gruppo si propone di organizzare una grande manifestazione di protesta per far capire all’opinione pubblica italiana quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società”, si legge sul profilo. Chi si aggiunge al gruppo è immediatamente invitato a iscriversi alla mailing list (primomarzo2010@gmail.com) per creare un contatto più diretto e organizzarsi, costituire comitati territoriali: è importante agire in maniera capillare, riuscire a raggiungere tutti quelli che non hanno accesso a internet, non parlano la nostra lingua, non hanno un computer. E infatti i comitati sono già nati: Milano, Perugia, Palermo, Roma e altri ne stanno nascendo in questo momento (ognuno con la sua mailing list di riferimento). A ognuno viene chiesto un contributo, un’idea, anche perché bisogna rendere visibili le astensioni. L’attività sul territorio è importante perché le modalità dello sciopero vengono costruite insieme, a seconda delle caratteristiche di chi vi partecipa. Sì, perché qui sta l’elemento innovativo e coraggioso. Lo sciopero, dicevamo, lo sciopero dal lavoro non solo non se lo può permettere più nessuno, ma perde sempre di più il suo controvalore. Nel caso specifico, poi, gli stranieri vengono spesso sfruttati, pagati in nero, quando non sono addirittura senza lavoro. Che si scioperano, allora? E’ tra le prime obiezioni che vengono fatte. La verità è che sebbene lo strumento resti lo stesso: l’astensione, non sarà più solo dal lavoro. Ma soprattutto dal consumo. Il concetto di cittadino si è svuotato, se mai ha avuto un valore in Italia, oggi, che ci piaccia o no, siamo consumatori, è così che siamo considerati: solo per questo abbiamo un valore per chi comanda, e non è più il padrone a comandare, non quello nel senso tradizionale del termine almeno, quello che conta è cosa compri, come lo compri, in quali quantità. Se tutti gli stranieri (e tutti gli altri che aderiscono) per un giorno si astengono dal comprare dall’unico alimentari del paesello del nord est, se tutti quelli a Roma per un giorno non inviano soldi alla famiglia di origine tramite quel certo vettore, se per quel giorno non si fanno telefonate, non si prendono treni, non si prende il caffe’ nel bar della piazza. Ebbene, il mondo si accorgerà che esisti e che sei fondamentale per l’economia del paese, che puoi, se vuoi, avere un peso specifico e contare nelle decisioni che riguardano la comunità. Questo poi sarebbe un discorso da allargare a tutte le nuove forme di lotta e di rivendicazione dei diritti. Ma ora parliamo del primo marzo 2010. Un’ultima considerazione. Un’altra delle obiezioni che vengono fatte allo sciopero (non ultimo su un noto magazine allegato a un quotidiano nazionale) è che gli italiani non capirebbero. Come se noi fossimo da una parte e loro dall’altra. Questa è un’altra cosa che il gruppo che organizza lo sciopero, e quindi di conseguenza la manifestazione stessa, si propone di superare. La divisione tra italiani e stranieri. Quando si scrive di questi temi una delle difficoltà maggiori è proprio trovare i termini giusti, perché il vecchio linguaggio non basta più, non ha più senso, le vecchie parole non servono più a indicare il concetto che si vuole esprimere. Italiani e stranieri. I ragazzi di seconda generazione che sono italiani, ma che a causa dell’aspetto e delle abitudini vengono considerati stranieri e che parteciperanno alla manifestazione a fianco di chi ancora invece non riesce ad avere voce, sono stranieri o italiani? E gli italiani in Francia di seconda, terza generazione, sono stranieri, italiani o francesi? Quando si creano questi corto circuiti lessicali vuol dire che è ora di ripensare la realtà che viviamo. Le parole hanno un senso, che è quello di descrivere ciò che vediamo. Bisogna abituarsi all’idea che ciò che vediamo è cambiato e che vanno trovati nuovi nomi, nuove forme di lotta, vanno individuati i nuovi diritti da difendere e da conquistare. Spesso ci si chiede da dove cominciare. Io propongo da qui.
Fonte
Unire le riflessioni e i contributi per trovare, se possibile, una sintesi comune.
Luciana P. Pellegreffi
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