Vi segnalo l'intervento di David Bidussa, storico sociale delle idee, dalla Newsletter quotidiana della Unione delle comunità ebraiche italiane.
La nota del Ministro dell’Istruzione sul tetto del 30% di stranieri nelle classi scolastiche ha attratto l’attenzione di molti sul numero.Sarebbe veramente fuorviante che tutta la discussione si concentrasse sulla quota. Perché il problema vero -politico, sociale, ma soprattutto culturale- non è sul numero, ma sul “chi”. E il “chi” -preliminarmente- si distingue tra “chi” sa l’italiano e “chi” non lo sa. Altrimenti il fine non è la maggiore integrazione ma la classificazione per quote della popolazione. Un problema che riguarda la cittadinanza, non solo di chi arriva qui, ma anche di chi, da figlio di immigrati, nasce qui. Un tema su cui si fa molta demagogia. Per contribuire a diradarla, anziché aumentarla, sarebbe opportuno che si facesse chiarezza, e per primo la facesse il Ministro, su “chi” a suo avviso deve essere incluso in quel 30%, ovvero quali caratteristiche deve avere.
Non solo perché le parole hanno un significato, ma perché tutto non si risolva nella solita bravata italiana, per cui l’apertura si scontra poi con la pratica del braccio corto. E infatti la attuazione di quella nota avrà un costo: sociale perché significherà spalmare su tutte le scuole quella disposizione (e dunque significherà trasporti, mense, tanto per andare sul concreto) e culturale perché contemporaneamente dovrà agire sul profilo culturale del Paese.
L’integrazione non è un percorso di buone intenzioni lastricato di spirito caritatevole, praticabile a giorni alterni o a seconda dello stato d’animo.. E’ un processo complesso e in sede formativa pone problemi delicati di didattica e di qualità dell'istruzione: conta il numero dei bambini con competenze linguistiche ridotte, stranieri e italiani; contano le altre abilità oltre a quelle linguistiche (in particolare quelle logico matematiche che, a volte, sono superiori in alunni che provengono da scuole straniere): contano, soprattutto, la numerosità degli alunni per classe (da questa dipende la possibilità di una didattica personalizzata) e l'esistenza o meno di insegnanti di sostegno, che consentano un'attenzione specifica bambini o giovani in difficoltà.
L'indicazione esclusiva di un numero percentuale di presenze non offre nessuna garanzia di inserimento scolastico degli altri di altra madrelingua.
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