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10.8.09

LE DONNE IN TV

Intervista a Lorella Zanardo di Marina Terragni - da: Io Donna 11 luglio 2009

Teo Mammucari che picchia sprezzantemente il microfono sulla testa di Elisabetta Gregoraci. Nina Moric appesa, i glutei nudi timbrati come prosciutti. Scene di ordinaria tv (italiana). Viste tutte insieme fanno quasi paura. Parlano di un mondo paradossale, dove le donne vanno avanti in tutti i campi, a scuola, nel lavoro, ma pagano pegno in un immaginario -confezionato anche con soldi pubblici- che le trattiene alla mercè dello sprezzo maschile. Immaginario che, come si è visto nella storia delle escort presidenziali, ha il suo côté reale (o è la realtà ad avere un côté televisivo?).Poco prima che la faccenda deflagrasse con tutti i suoi risvolti politici l’imprenditrice Lorella Zanardo aveva messo online il suo documentario
“Il corpo delle donne”, assemblaggio di orrore misogino in tv, 200 mila spettatori in un mese. La Moric, Flavia Vento e tutte le altre lei le chiama “le umiliate”. Per la femminista Lea Melandri invece sono “schiave radiose”. Perché è anche questione di trovare le parole: “La cosa che mi sono sentita dire più spesso dalle donne che hanno visto il documentario” racconta Zanardo “è stata: era quello che volevo dire anch’io, ma di parole non ne avevo”.

M.T. Un’assenza di discorso, un tenersi fuori che devono avere un significato. Il tuo sguardo, in quel documentario, è stupefatto.

L.Z. Io la tv non la guardavo. E’ successo che un amico, sapendomi attenta a quello che riguarda le donne, mi ha detto: ma tu la vedi mai? Capiresti tante cose. Così, durante le vacanze di Natale, insieme a lui e a un altro amico entrambi nel settore cinema e tv, ho guardato la televisione per 15 giorni, registrando 400 ore di trasmissione.

M.T. E’ significativo che siano stati due uomini a chiederti di esercitare la tua attenzione femminile. Come se ne avessero bisogno loro.

L.Z. Come se mi dicessero: noi non possiamo avere lo sguardo di donna che ci servirebbe. Daccelo tu. Era una loro urgenza. Anche sul blog ricevo molti commenti maschili, soprattutto di giovani che chiedono alle donne di prendere posizione su queste cose.

M.T. Il fatto è che in tutte queste vicende -la tv, le escort- è in gioco anche –soprattutto? -l’identità maschile. Gli uomini oggi sono impegnati a capire cos’è essere un maschio senza più donne da dominare. In questo sprezzo delle donne si vede invece un colpo di coda del patriarcato in agonia. E’ un gioco per uomini. Forse per questo le donne se ne sono tenute fuori. Quanta colpa dai alla tv?

L.Z. Molta. Come fai a darla alle ragazze che usano il corpo per arrivare, quando sono venute su con 25 anni di questa roba? A noi non è toccato. Ma certo la cosa non riguarda solo la tv.

M.T. Però almeno ora si è visto che per questa strada arrivi solo fino a un certo punto. Poi ti fermi, perché le gambe con cui cammini non sono le tue. Per una che trova un posto da showgirl o da deputata -a quanto pare oggi uno vale l’altro- mille finiscono male.

L.Z. Anch’io credo che alla fine guadagni solo molte sofferenze.

M.T. Se ci pensi, la faccia delle “rifatte” che vedi in tv è una smorfia di dolore. La femminilità cancellata per diventare dei travestiti.

L.Z. E’ un non-volto. Faccia viene da “fare”, noi la nostra faccia ce la facciamo, giorno dopo giorno. Da quando l’ho capito mi guardo allo specchio con meno ansie. E’ la mia faccia. La vedo bella così com’è, con tutti i segni della vita. Questa scoperta però è l’esito di un percorso. Forse abbiamo sbagliato a non metterlo in comune, a tacere così a lungo con le ragazze…

M.T. … a non occuparci più del corpo, lasciandolo al mercato e al consumo. A non proporre la nostra idea di bellezza. Quando ti fai fare una faccia e un corpo così è per compiacere gli uomini, per corrispondere esattamente alle loro fantasie onanistiche e frettolose: labbrone, senoni… Per non creargli problemi. Tu le chiami “umiliate”, ma per me sono emancipate. Come tutte le emancipate si omologano al modello e al desiderio maschile per trovarsi un posto nel mondo.

L.Z. In effetti le rifatte sembrano femmine iperboliche, ma in realtà hanno abdicato dal loro femminile. Quello che non capisco è perché ci caschino anche donne colte. Come certe giornaliste tv.

M.T. Ormai quella è la facies televisiva. Hai paura che ti caccino di lì, e allora ti adegui.

L.Z. Io non condanno nessuno, per carità. Magari anch’io finirò per darmi una tiratina…

M.T. Il problema non è tagliare via un po’ di pelle. E’ tagliare con il femminile per adeguarsi agli uomini, per diventare esattamente il prodotto che si immagina vogliano consumare. Non è una cosa solo italiana. Ma qui ha avuto l’amplificazione, il marketing della tv.

L.Z. Il “velinismo” in altri paesi non dilaga. In Gran Bretagna certe immagini restano sui tabloid, mentre in tv l’immagine femminile è articolata e dignitosa. Insisto: abbiamo una responsabilità nei confronti delle ragazze.

M.T. La cosa che conta è lasciarsi guardare, offrirsi come modelli al loro sguardo. Restare donne essendo libere. Anzi, fare vedere che si è libere proprio per il fatto di essere donne.

L.Z. Ho notato che le ragazze sono molto contente quando vedono che nella tua vita sei realizzata ma non hai rinunciato a essere una donna. Io faccio l’imprenditrice, ma curo la mia femminilità: per me è quasi una forma di militanza. Di questo c’è molto desiderio anche fra i ragazzi che scrivono sul blog.

M.T. Sul mio blog un lettore ha scritto che l’umiliazione di uno dei due generi colpisce anche l’altro. Che come uomo si sente “consumato”, cioè attratto nella trappola del consumo mediante questo uso televisivo del corpo della donna.

L.Z. Senza nessuna differenza, oltretutto -ed è stata una sorpresa- tra reti private e reti pubbliche. Noi continuiamo a monitorare. Adesso c’è “Mercante in fiera” con questa Gatta Nera, valletta sadomaso hard. E “Sarabanda”, il solito Mammucari e Belén Rodriguez: la novità qui sono le riprese da sotto, ginecologiche. Roba che va in onda alle sette di sera, non a notte fonda. Porteremo questo materiale a chi autorizza la messa in onda. Qualcosa ci dovranno pur dire.

Luciana P. Pellegreffi

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