UMBRIA OLII: "VOGLIAMO GIUSTIZIA PER I 4 MORTI"
Da: http://www.articolo21.org - di Redazione (15/11/2011)
Sono Lorena Coletti, mio fratello morì il 25 novembre 2006, nella tragedia delle Umbria Olii.
Quel giorno morirono altre 3 persone che lavoravano con lui nella ditta Manili, la quale effettuava manutenzioni in appalto presso la Umbria Olii.
Il lavoro della ditta Manili, consisteva nel montare delle passerelle sui silos che per l’ occasione dovevano essere bonificati, mentre tramite successive perizie, si è scoperto che questi ultimi contenevano un gas potenzialmente esplosivo, l’ esano.
Quindi i dipendenti della ditta Manili non sapevano il rischio che correvano nell’ effettuare il montaggio delle passerelle e la Umbria Olii non possedeva il certificato antincendio che oltretutto era scaduto da due anni.
Al momento dell’ esplosione, il contenuto dei silos, che ammontava a diverse tonnellate di olio si è riversato nel fiume Clitunno e nelle strade di Campello, provocando ingenti danni ambientali.
Nel 2008 iniziò il processo preliminare, durante il quale i legali di Del Papa [titolare della Umbria Olii] avanzarono diverse istanze, tra cui la rimessione per poter spostare il “sito” del processo per ostilità ambientale e addirittura la ricusazione del giudice dell’ udienza preliminare, ritenendolo di parte. Tutte istanze che ovviamente non sono mai state accolte, cosi come la richiesta di rito abbreviato da parte dell’ imputato e la richiesta di risarcimento di 35 milioni di euro che i familiari e l’ unico superstite si sono visti recapitare.
Al termine del processo preliminare Giorgio Del Papa, amministratore delegato della Umbria Olii, fu rinviato a giudizio e la data del 24 novembre del 2009 vagliava l’ inizio del processo penale dove l’ amministratore delegato ha, a suo carico, le imputazioni di omicidio colposo plurimo con l’ aggravate della colpa cosciente, disastro ambientale e il mancato rispetto, anche doloso, di alcune norme sulla sicurezza del lavoro.
Durante le varie udienze, la prima linea difensiva adottata dal legale di Giorgio Del Papa, vedeva incolpare i dipendenti della ditta Manili che secondo perizie di parte, avrebbero utilizzato fiamme libere per ancorare le passerelle ai silos, tesi difensiva che poi è stata abbandonata dalla difesa stessa.
Il 18 ottobre 2011 nell’ aula del tribunale di Spoleto, dove era attesa la requisitoria del PM Federica Albano, non sono mancati i colpi di scena, poiché stavolta a far discutere l’ accusa è stata la sorpresa dell’ avvocato La Spina che ha presentato un libro scritto da lui stesso, dal titolo "Non ho colpa".
Un libro dal titolo innocuo ma che contiene il racconto della vicenda processuale, vista dagli occhi della difesa, e raccontata con la voce di “Pippo”, dove idealmente Giorgio Del Papa viene ritenuto innocente e assolto dopo profonde analisi e osservazioni nel libro contenute.
Lo stesso giorno nell’ aula del tribunale il Procuratore capo Gianfranco Riggio, ha avallato calcando la mano sulle accuse già formulate nella requisitoria del PM e ha specificato che la Procura ha negato a Del Papa il riconoscimento delle attenuanti generiche, vuoi per l’ estrema gravità del fatto vuoi per la personalità dell’ imputato che tra l’ altro non è immune da precedenti.
Il 19 ottobre 2011 è il giorno della difesa, nel quale l’ avvocato La Spina ha parlato per ben 5 ore, leggendo anche alcuni passi del libro-arringa che è finito agli atti del processo.
Come prima cosa l’ avvocato ha chiesto per Giorgio Del Papa l’ assoluzione con formula piena, evidenziando addirittura, che i precedenti di cui aveva parlato il giorno prima il Procuratore Capo Riggio non sarebbero ostativi per la concessione delle attenuanti generiche.
Durante la requisitoria, il libro-arringa non è stata l’ unica sorpresa della difesa di Del Papa, in quanto l’ avvocato dell’ imputato ha chiesto, oserei dire anche in maniera piuttosto inaspettata, al giudice una superperizia. Ossia, La Spina vuole ricorrere all’ articolo 507 del C.P.P. che consente al giudice, in caso di assoluta eccezionalità, quindi anche a processo praticamente concluso vista la sentenza imminente, di disporre di nuovi mezzi di prova.
L’ utilità a parere della difesa di questa superperizia, sta nel verificare la tesi difensiva attuale, che vede attribuire all’ unico superstite, Klaudio Dimiri, l’ intera colpa della catastrofe.
Secondo la difesa quindi la colpa dell’ unico superstite sta nell’ aver compiuto una manovra errata con la gru, che quel giorno avrebbe sollevato il silos.
Secondo l’ accusa, l’ ipotesi è fantasiosa avendo già considerato peso del silo e del suo contenuto, il peso e l’ inclinazione del braccio della gru.
Un’ altra cosa che l’ avvocato della difesa vuole verificare, tramite perizia, è l’ attendibilità degli esami chimici di laboratorio effettuati durante le indagini.
Il giudice Avenoso, ha sospeso l’ udienza dando come prossima data utile il 15 novembre, non escludendo un eventuale sentenza.
Noi familiari delle vittime, come ha già detto il Procuratore Riggio, pretendiamo giustizia per questi 4 morti.
Chiediamo al giudice Avenoso la massima celerità nell’ espletare la sentenza.
Lorena Coletti
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PROCESSO TRUCK CENTER MOLFETTA CONTRO ENI
Da: Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro
bastamortesullavoro@gmail.it
lunedì 14 novembre 2011
Comunicato dei familiari delle vittime della Truck Center di Molfetta
Si e aperto oggi, 8 novembre, il processo con rito abbreviato nei confronti di sette alti dirigenti della società ENI SpA quali responsabili civili per i noti fatti delittuosi avvenuti il 3 marzo 2008 e che portarono ai decesso presso la Truck Center di Molfetta di tre giovani operai della ditta stessa, dell’ autista Sciancalepore Biagio e del titolare dell’ azienda Altomare Vincenzo.
Il processo si è aperto con un “j’accuse” molto forte del P.M. dott. Giuseppe Maralfa che ha condotto le indagini, che si prodigato in una requisitoria durata ben oltre le tre ore, senza interruzioni, nel corso della quale, il dott. Maralfa ha ricostruito minuziosamente tutta la vicenda che poi ebbe tragico epilogo nei cinque decessi, e le pesanti responsabilità in capo agli odierni imputati.
Il punto focale della requisitoria verteva sulle complesse e articolate indagini esperite dalla Procura della Repubblica con l’ ausilio dei propri tecnici incaricati, sia in relazione all’ impianto ENI SpA di Taranto, sia in relazione alle complesse comunicazioni di posta elettronica a vario titolo interscambiate tra gli odierni imputati ed altri soggetti di cui alcuni risultano essere indagati (ci riferiamo ai responsabili della società Nuova Solmine SpA), per i quali ultimi il GUP deciderà se procedere a rinvio a giudizio.
Sono emerse delle circostanze dalle quali si evince documentalmente, secondo quanto affermato in maniera decisa dai P.M., che "ENI SpA era a conoscenza sin dal dicembre 2006, che la raffineria ENI di Taranto produceva e vendeva alla Nuova Solmine SpA zolfo liquido con una percentuale molto elevata di acido solfidrico al suo interno. ENI SpA era perfettamente a conoscenza della buona pratica industriale in forza delta quale la percentuale di acido solfidrico nello zolfo liquido non avrebbe dovuto superare le 10 parti per milione, quantità già potenzialmente letale per chi ne fosse venuto a contatto in un ambiente confinato quali erano le cisterne che vengono usate per il trasporto dello zolfo liquido dalla ENI SpA di Taranto alla Nuova Solmine SpA di Scarlino".
E’ emerso altresì dalle attività di indagine espletate dal Sostituto Procuratore della Repubblica che l’ impianto di degrassaggio allocato presso gli stabilimenti di Taranto (che doveva servire ad abbattere la concentrazione di acido solfidrico nello zolfo liquido), era "fuori fase", ovvero non funzionante.
In buona sostanza, ENI SpA, secondo le parole del P.M., era perfettamente a conoscenza, da ben oltre un anno prima dal tragico evento delittuoso, che lo zolfo liquido che produceva e metteva in commercio, conteneva acido solfidrico almeno 10 volte superiore alla quantità (già di per se potenzialmente letale) di 10 parti per milione di acido solfidrico.
Pur in presenza di tali conoscenze, secondo quanto perentoriamente affermato dal P.M., ENI SpA, e chi per essa, non aveva provveduto a redigere una scheda di sicurezza (per il trasporto del prodotto), conforme ai rischi del prodotto stesso. Tali "colpose" condotte, consistite nelle omesse comunicazioni e informazioni, hanno determinato quei concorso causale che ha portato poi al compimento della tragica vicenda”.
Pensanti le condanne richieste dal P.M., estrinsecate nella richiesta di 5 anni di reclusione per ciascuno degli imputati, ridotti, in forza del rito abbreviato, a 3 anni e 4 mesi, nonché alla condanna dì sanzioni amministrative per poco meno di un milione di euro a carico dell’ ENI SpA.
Le parti civili hanno depositato le loro conclusioni scritte e il processo è stato aggiornato all’ udienza del 29/11/11, alle ore 9, nel corso della quale si darà la parola ai difensori degli imputati.
A cura Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro - Taranto
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COSE CHE ACCADONO AGLI OPERAI !
Da: www.operaicontro.it
sab, 12 nov @ 11:01
Antonio ha perso un braccio. O, meglio, la mano e l’ avambraccio. Ma non cambia nulla, è la stessa cosa.
Antonio è un operaio. Da anni lavora in una fabbrica metalmeccanica. È un uomo tranquillo, guida la macchina, va in bicicletta, va a fare la spesa e torna a casa con le buste piene, gioca con i figli, abbraccia la moglie. Cose normali, che ora non potrà fare più. O le farà con estrema difficoltà.
Una pressa gli ha schiacciato la mano e l’ avambraccio sinistri. Un dolore fortissimo, una montagna che ti precipita addosso, uno squalo che ti mangia vivo. È svenuto. Ha avuto una violenta emorragia, ha rischiato di morire.
In ospedale i medici hanno detto all’ esterrefatta moglie che dovevano amputare, il sangue non circolava più. Anche a lei è caduta una montagna addosso, una montagna di pianto, in un mare di impotenza.
È finita l’ allegria, è morta la spensieratezza, per tutti. I figli hanno capito, hanno pianto gridando. E dando pugni ai muri.
Antonio l’ hanno amputato. E rimproverato. Parenti, amici, qualcuno anche della fabbrica: “Sarebbe bastata un po’ d’ attenzione e non succedeva nulla ! Ah, la distrazione dove porta !”.
La moglie no, i figli nemmeno, i compagni di lavoro più vicini a lui nemmeno a pensarci. Sapevano che quella pressa operava senza protezione, sapevano che era stata chiesta, sapevano che era stata negata. Antonio lo aveva detto, era uno dei tanti problemi sul lavoro.
“Eh, adesso non torni più in fabbrica ! Non tutti i mali vengono per nuocere !”.
Qualcuno l’ ha buttata là, un po’ credendoci, un po’ per rompere la mestizia. Antonio non tornerà più in fabbrica, ma non è vero che non gli dispiace, quella era la sua vita. Sta invece precipitando in un gorgo di dolore, rabbia, amarezza e povertà.
Sono cose che accadono agli operai, in un duro dolore che troppo spesso rimane chiuso in casa, in famiglia. Certo non succedono ai padroni che tagliano sui costi della sicurezza, accorciano i tempi delle mansioni e intensificano lo sfruttamento. Neanche agli avvocati che difendono i padroni. E neppure ai giudici che li assolvono. E tanto meno ai sindacalisti, lontani dalla produzione, compiacenti con i padroni e ai politici che si impegnano per finanziarne gli affari !
Sono cose che capitano agli operai, e a volte capita anche peggio, di morire. E per chi alza la voce la repressione, la multa, il licenziamento.
E allora che cosa volete che gliene importi agli operai del debito pubblico che sale, dello spread che aumenta, del pericolo della bancarotta dello Stato ? Che vada tutto in malora !
Se il capitalismo gli dà solo miseria, dolore, sofferenza e repressione, che crolli e travolga padroni, avvocati, giudici, sindacalisti e politici.
Antonio non l’ aveva mai pensato, almeno non con questa chiarezza. Ma ora lo ripete ogni giorno. A tutti.
SALUTI OPERAI DALLA PUGLIA
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A COME . . . AMIANTO: DALLO SPETTACOLO UNA PETIZIONE
Da: http://www.articolo21.org - di Redazione (15/11/2011)
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Gentile Presidente,
alla luce di quanto ho scoperto durante lo studio per scrivere il testo teatrale A come Amianto, unito ai cittadini che hanno sottoscritto l’ appello che segue si chiede:
- la bonifica immediata dei siti “a rischio dispersione amianto” come previsto dalla Legge 257 del 1992: ricordiamo che sul territorio nazionale sono presenti 32 milioni di tonnellate di amianto che vanno rimosse da scuole (come l’ asilo di Villa Gordiani a Roma ecc.), o da fabbriche dismesse (come la Fibronit di Bari, la Breda e la Falk di Sesto San Giovanni ecc.), o da palazzi (come quelli in via Feltrinelli a Milano), o da teatri (quali la Scala di Milano);
- la messa in sicurezza di cave di amianto (come quella di Balangero in provincia di Torino) e di aree dove l’ amianto–tremolite si disperde nell’ aria in maniera naturale come accade a Seluci di Lauria, Castelluccio Superiore e a Viggianello in provincia di Potenza;
- la scelta di sistemi di smaltimento sicuri e risolutivi dell’ amianto tra le tipologie attualmente disponibili, cioè la discarica e l’ inertizzazione, attraverso appositi forni, con la garanzia dell’ assenza di inquinamento causato da percolazioni in falda, scorrimento superficiale ed emissione in atmosfera; è inoltre necessario commisurare la grandezza degli impianti alle quantità di materiale presente nell’ area per evitare la realizzazione di megadiscariche, come quelle in provincia di Cremona e Brescia, spesso imposte in modo autoritario, in favore d’ impianti locali di più modesta portata e più sicuri;
- garantire la massima trasparenza nell’ iter di localizzazione e realizzazione degli impianti di
smaltimento, la sola che consente reale partecipazione del pubblico: senza, è impossibile la
realizzazione di forni e discariche;
- che venga emesso il decreto attuativo in grado di sbloccare i 50 milioni di euro approvati e
stanziati dal Governo Prodi che serviranno come Fondo per le vittime dell’ amianto;
- che la Fondazione Teatro alla Scala di Milano faccia richiesta all’ INAIL affinché riconosca i propri lavoratori come "esposti all’ amianto" visto che hanno adoperato attrezzature in cui era presente l’ amianto ed hanno lavorato per anni in luoghi caratterizzati dalla presenza della fibra killer (tra i tecnici del suddetto Teatro deceduti a causa dell’ amianto vogliamo ricordare il "siparista" Claudio Mantovani);
- visto che il 24 luglio 2008 è stato abbattuto il Velodromo dell’ Eur di Roma, contenente grandi quantitativi di amianto, senza rispettare le dovute misure di sicurezza chiediamo che il Tribunale di Roma cerchi i colpevoli e li indaghi per "disastro colposo".
Ulderico Pesce
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SULL’ OBBLIGO DI DOCUMENTARE INFORMAZIONE E FORMAZIONE DEI LAVORATORI
Da: http://www.puntosicuro.it
Anno 13 - numero 2735 di lunedì 07 novembre 2011
Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 16087 del 22 aprile 2011.
La formazione ed informazione dei lavoratori vanno impartite specificatamente e opportunamente documentate. Non è assolutamente sufficiente che i lavoratori assumano “sul campo” generiche informazioni da parte di colleghi di lavoro.
Commento a cura di Gerardo Porreca.
E’ obbligatorio da parte del datore di lavoro impartire una specifica formazione ed informazione dei propri lavoratori dipendenti ed è necessario che le stesse siano opportunamente documentate. Questo è quanto emerge dalla lettura di questa breve sentenza della Corte di Cassazione la quale ha altresì ribadito che non è assolutamente sufficiente, per raggiungere tali scopi, lasciare che gli stessi lavoratori vengano informati “sul campo” assumendo generiche informazioni da parte di colleghi di lavoro.
IL CASO
Il Tribunale ha dichiarato il datore di lavoro di un’ impresa individuale colpevole del delitto di lesioni colpose gravi commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (articolo 590, commi 1, 2 e 3 C.P.), in pregiudizio di un dipendente e lo ha condannato alla pena di cinque mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio quanto ai danni biologico e patrimoniale, e liquidando direttamente il danno morale in euro 11.000,00; somma assegnata a titolo di provvisionale.
L’ imputato è stato ritenuto responsabile di aver cagionato al lavoratore, per colpa generica e specifica, lesioni personali consistite nell’ amputazione del 2 e 3 dito della mano destra, venuta a contatto con la lama di una sega circolare con la quale il dipendente stava provvedendo a tagliare alcune assi.
L’ infortunio era accaduto in quanto tale attrezzatura, nel mentre il lavoratore spingeva con la sola mano destra un’ asse verso la lama, si era improvvisamente inclinata verso sinistra per cui si era avuto uno spostamento dell’ asse a seguito del quale la mano destra del lavoratore era appunto entrata in contatto con la lama che ne aveva reciso due dita.
Il giudice del merito aveva rilevato, nella condotta dell’ imputato, precisi profili di colpa per non avere lo stesso adeguatamente curato la formazione professionale del dipendente, per non averlo informato sui rischi connessi alle mansioni allo stesso assegnate e per non avere provveduto a fissare al suolo la sega circolare per renderla stabile e per ridurre, così, il rischio di incidenti.
Lo stesso giudice ha sostenuto che l’ evento era stato diretta conseguenza del mancato rispetto da parte dell’ imputato di norme cautelari generiche e specifiche e che la condotta imprudente della vittima non aveva in alcun senso interrotto il nesso eziologico tra le richiamate inadempienze e l’ evento verificatosi.
La Corte di Appello, su ricorso dell’ imputato, ha successivamente confermata la decisione impugnata.
IL RICORSO E LE DECISIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Avverso la sentenza di condanna della Corte di Appello l’ imputato ha proposto ricorso, per il tramite del difensore, alla Corte di Cassazione sostenendo che l’ infortunio non sarebbe stato causato da un difetto di formazione o di informazione del lavoratore, in realtà adeguatamente preparato all’ uso della sega circolare, bensì dalla condotta superficiale ed imprudente dello stesso lavoratore che, benché invitato a porre la massima attenzione nell’ uso della sega e di utilizzare ambedue le mani, aveva sospinto l’ asse da tagliare con la sola mano destra, essendo in tal guisa rimasto vittima del proprio anomalo comportamento.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione la quale ha osservato che i giudici della Corte territoriale avevano legittimamente riscontrato nella condotta del ricorrente, alla stregua delle prove acquisite agli atti, precisi profili di colpa, generica e specifica, da cui è derivato l’ infortunio del quale era rimasto vittima il lavoratore.
Gli stessi giudici, richiamando le dichiarazioni rese dalla vittima, hanno ricordato come la sega circolare, alla quale la stessa era stata addetta, non fosse stata adeguatamente posizionata e che tale attrezzo era stato il giorno prima dell’ incidente non fissato, bensì solo appoggiato sul terreno, e dunque in condizioni di non assoluta stabilità, come avrebbe dovuto essere proprio al fine di evitare spostamenti e scivolamenti, seppur di modesta entità, che avrebbero messo a rischio l’ incolumità dell’ operatore.
L’ instabilità dell’ attrezzatura era stata confermata del resto non solo da un teste ascoltato che ha sostenuto che la sega era stata solo "appoggiata" e non "piantata" sul terreno, ma anche da un ispettore del lavoro che nel suo rapporto ha sostenuto che all’ imprudenza della vittima, che al momento dell’ incidente stava trattenendo l’ asse da tagliare con una sola mano, si era affiancata, quale elemento imprevedibile, l’ improvvisa inclinazione del piano sul quale si trovava la sega rotante che aveva provocato il trascinamento della mano del lavoratore verso l’ attrezzo e quindi il contatto con lo stesso.
La suprema Corte ha quindi messo in evidenza che il lavoratore infortunato era stato, d’ altra parte, assunto da qualche giorno ed era stato addetto alla sega circolare solo il giorno prima, senza adeguata formazione circa l’ uso dell’ attrezzo né informazione circa i rischi connessi con l’ utilizzo dello stesso, circostanza questa che i giudici del merito hanno accertata in quanto riferita dalla stessa vittima e ribadita dall’ ispettore del lavoro il quale ha sostenuto di non avere rinvenuto documentazione che attestasse l’ attività di formazione svolta nei confronti del lavoratore.
Di qui la specifica contestazione della violazione dell’ articolo 22 del D.Lgs.626/94 il quale impone al datore di lavoro di assicurare al dipendente una formazione adeguata in materia di sicurezza e di salute con riferimento alle specifiche mansioni affidate.
Quanto alle osservazioni fatte dall’ imputato in merito alle precedenti ed analoghe esperienze lavorative che l’ infortunato aveva avute ed all’ efficacia delle informazioni ricevute sull’ uso della sega, sia i giudici del merito che quelli della Cassazione hanno rilevato “da un lato che nelle sue precedenti esperienze lavorative la vittima aveva utilizzato attrezzi diversi da quello adoperato nel caso di specie, attrezzi, peraltro, dotati di dispositivi di sicurezza non rinvenuti nella sega circolare; dall’ altro, che le sommarie informazioni fornite ‘sul campo’ dai colleghi di lavoro non potevano ritenersi idonee a garantire un’ adeguata formazione del lavoratore”.
Sentenza 22/4/2011 n. 16087
Udienza Pubblica del 22/12/10
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere
Dott. D’ ISA Claudio - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da:
1) C.G. nato il (omissis);
avverso la sentenza n. (omissis) Corte Appello di T., del (omissis); visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in Pubblica Udienza del (omissis) la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giacomo Foti;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Galati che ha concluso per il rigetto del ricorso.
OSSERVA
1- Con sentenza del (omissis), il giudice monocratico del Tribunale di A., sezione distaccata di B., ha dichiarato C.G. colpevole del delitto di lesioni colpose gravi commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (articolo 590, commi 1, 2 e 3 C.P.), in pregiudizio del dipendente B.E., e lo ha condannato alla pena di cinque mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio quanto ai danni biologico e patrimoniale, e liquidando direttamente il danno morale in euro 11.000,00; somma assegnata a titolo di provvisionale.
Secondo l’ accusa, condivisa dal tribunale, il C.G., nella qualità di responsabile dell’ omonima impresa individuale, per colpa generica e specifica, ha cagionato al lavoratore lesioni personali consistite nell’ amputazione del 2 e 3 dito della mano destra, venuta a contatto con la lama della sega circolare con la quale il dipendente stava provvedendo a tagliare alcune assi.
In particolare, era accaduto che detto attrezzo, mentre il B.E. spingeva, con la sola mano destra, un’ asse verso la lama, si era improvvisamente inclinato verso sinistra; ciò aveva determinato lo spostamento dell’ asse, di talché la mano destra del lavoratore era entrata in contatto con la lama che ne aveva reciso due dita.
Il giudice del merito ha rilevato, nella condotta dell’ imputato, precisi profili di colpa per non avere lo stesso adeguatamente curato la formazione professionale del dipendente, per non averlo informato sui rischi connessi alle mansioni allo stesso assegnate e per non avere provveduto a fissare al suolo la sega circolare per renderla stabile e ridurre, così, il rischio di incidenti.
In punto di nesso causale, lo stesso giudice ha sostenuto che l’ evento è stato diretta conseguenza del mancato rispetto, da parte dell’ imputato di norme cautelari generiche e specifiche e che la condotta imprudente della vittima non ha in alcun senso interrotto il nesso eziologico tra le richiamate inadempienze e l’ evento determinatosi.
Su appello dell’ imputato, la Corte d’ Appello di T., con sentenza del (omissis), ha confermato la decisione impugnata.
Avverso tale sentenza propone ricorso, per il tramite del difensore, il C.G. che, con unico motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di affermazione della responsabilità frutto, a suo dire, di travisamento del fatto e delle prove.
L’ infortunio, si sostiene nel ricorso, non sarebbe stato causato da un difetto di formazione o di informazione del lavoratore, in realtà adeguatamente preparato all’ uso della sega circolare, bensì dalla condotta superficiale ed imprudente dello stesso lavoratore che, benché invitato a porre la massima attenzione nell’ uso della sega e di utilizzare ambedue le mani, aveva sospinto l’ asse da tagliare con la sola mano destra, essendo in tal guisa rimasto vittima del proprio anomalo comportamento.
2- Il ricorso è infondato.
I giudici del gravame hanno, invero, legittimamente riscontrato nella condotta dell’ odierno ricorrente, alla stregua delle emergenze probatorie in atti, precisi profili di colpa, generica e specifica, da cui è causalmente derivato l’ infortunio del quale è rimasto vittima B.E. . In particolare, richiamando le dichiarazioni rese dalla vittima, i giudici del merito hanno ricordato come la sega circolare, alla quale la stessa era stata addetta, non fosse stata adeguatamente posizionata. Tale attrezzo invero, era stato il giorno prima dell’ incidente non fissato, bensì solo appoggiato sul terreno, e dunque in condizioni di non assoluta stabilità, come avrebbe dovuto essere proprio al fine di evitare spostamenti e scivolamenti, seppur di modesta entità, che avrebbero messo a rischio l’ incolumità dell’ operatore.
L’ imprudente e negligente impianto della sega è stato confermato, non solo dal teste M.O., che, secondo il giudice di primo grado, pur avendo sostenuto che la sega era stata in maniera stabile poggiata sul terreno, ha in dibattimento ammesso che la stessa era stata solo "appoggiata", non "piantata" sul terreno, ma anche dall’ ispettore del lavoro C.P. .
Costui ha, invero, sostenuto che all’ imprudenza della vittima, che al momento dell’ incidente stava trattenendo l’ asse da tagliare con una sola mano, si era affiancata, quale elemento imprevedibile, l’ improvvisa inclinazione del piano, sul quale si trovava la sega rotante, che aveva provocato il trascinamento della mano del lavoratore verso l’ attrezzo ed il contatto con lo stesso.
L’ imputato, dunque, aveva, per colpa, consentito che il dipendente utilizzasse la sega senza essersi previamente assicurato dell’ esatto posizionamento della stessa, così da evitare il rischio di pericolosi spostamenti anche minimi, concretizzatosi nel caso di specie ai danni del B.E. .
Quest’ ultimo, d’ altra parte, assunto da qualche giorno, era stato addetto alla sega circolare solo il giorno prima, senza adeguata formazione circa l’ uso dell’ attrezzo né informazione circa i rischi connessi con l’ utilizzo dello stesso. Circostanze che i giudici del merito hanno ritenuto accertate in quanto riferite dalla stessa vittima e ribadite dall’ ispettore C.P., il quale ha sostenuto di non avere rinvenuto documentazione che attestasse attività di formazione svolte nei confronti del lavoratore.
Di qui la specifica contestazione della violazione del Decreto Legge n. 626 del 1994, articolo 22 il quale impone al datore di lavoro di assicurare al dipendente una formazione adeguata in materia di sicurezza e di salute con riferimento alle specifiche mansioni affidate.
Quanto alle osservazioni proposte, sul punto, dall’ imputato circa le precedenti ed analoghe esperienze lavorative del B.E. ed all’ efficacia delle informazioni ricevute sull’ uso della sega, i giudici del merito hanno rilevato, in termini di assoluta coerenza logica, da un lato, che nelle sue precedenti esperienze lavorative la vittima aveva utilizzato attrezzi diversi da quello adoperato nel caso di specie, attrezzi, peraltro, dotati di dispositivi di sicurezza non rinvenuti nella sega circolare; dall’ altro, che le sommarie informazioni fornite "sul campo" dai colleghi di lavoro non potevano ritenersi idonee a garantire un’ adeguata formazione del lavoratore.
A fronte di tali emergenze probatorie, le censure proposte si presentano infondate, oltre che, per alcuni aspetti, generiche e dirette solo ad una non consentita rilettura dei fatti.
Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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REGIONE PIEMONTE: AGGIORNATA LA RACCOLTA DI QUESITI SUL D.LGS.81/08
Da: http://www.puntosicuro.it
Anno 13 - numero 2708 di martedì 27 settembre 2011
Una raccolta di quesiti sul D.Lgs.81/08: applicazione, macchine, DPI, cantieri, segnaletica di sicurezza, movimentazione manuale dei carichi, videoterminali.
La Direzione Sanità, Prevenzione Sanitaria ambienti di vita e di lavoro della Regione Piemonte ha aggiornato la raccolta di quesiti sul D.Lgs.81/08, pervenuti al numero verde regionale per la sicurezza sul lavoro (800 580 001).
Pubblichiamo alcuni dei quesiti e le relative risposte.
NEL MIO LAVORO DI CONSULENTE TROVO SOVENTE DIPENDENTI CHE PRESTANO VOLONTARIATO NEL 118. PER TALI PERSONE E’ VALIDO L’ ATTESTATO RELATIVO AL CORSO CHE HANNO FREQUENTATO PRESSO LE VARIE ASSOCIAZIONI PER LO SVOLGIMENTO DELLA FUNZIONE DI ADDETTI AL PRIMO SOCCORSO AZIENDALE, COME DA D.LGS.81/08 ?
Occorre verificare che i corsi frequentati per il ruolo di volontario siano equipollenti ai corsi di formazione previsti dal D.M.388/03.
E’ POSSIBILE NONCHE’ CORRETTO IN UN COMUNE DELEGARE IL RUOLO DI DATORE DI LAVORO AL SEGRETARIO GENERALE.
Si deve chiarire se si tratta di delega di funzioni (ex articolo 16 del D.Lgs.81/08) oppure di individuazione (ex articolo 2, comma 1, lettera b) del D.Lgs.81/08).
Nel primo caso la delega può essere fatta nei confronti di chiunque, purché la stessa rispetti i seguenti requisiti:
- che essa risulti da atto scritto recante data certa;
- che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
- che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
- che essa attribuisca al delegato l’ autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;
- che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.
Nel secondo caso l’ individuazione avviene tra le figure di dirigente al quale spettano i poteri di gestione (ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale) tenendo conto dell’ ubicazione e dell’ ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’ attività, e affidando al soggetto individuato autonomi poteri decisionali e di spesa.
VOLEVO CHIEDERE ALCUNE INFORMAZIONI RIGUARDANTE L’ UTILIZZO IN AZIENDA DI UN CARRELLO ELEVATORE CON MOTORE A COMBUSTIONE INTERNA. NON SONO RIUSCITO A TROVARE UN RIFERIMENTO NORMATIVO SULL’ OBBLIGO A NON UTILIZZARE QUESTA TIPOLOGIA DI CARRELLO ALL’ INTERNO DI UN AZIENDA. ESISTE UNA NORMATIVA IN MERITO?
Non esiste un divieto assoluto all’ utilizzo di attrezzature di lavoro con motore a combustione interna nei luoghi di lavoro chiusi. Il loro impiego è consentito stante l’ indicazione contenuta all’ Allegato VI del D.Lgs.81/08 “Disposizioni concernenti l’ uso delle attrezzature di lavoro” al punto 2.4 che indica “Le attrezzature di lavoro mobili dotate di un motore a combustione possono essere utilizzate nella zona di lavoro soltanto qualora sia assicurata una quantità sufficiente di aria senza rischi per a sicurezza e la salute dei lavoratori”. Va infine ricordato l’ obbligo in capo al datore di lavoro, oltre che, di valutazione dei rischi e di adozione delle misure conseguenti di contenimento del rischio stesso anche quello, in ragione del contenuto indicato al punto 2.1.4 bis dell’ allegato IV del D.Lgs.81/08, di adottare provvedimenti atti ad impedire o a ridurre, per quanto possibile, lo sviluppo e la diffusione di gas o vapori irrespirabili o tossici od infiammabili, odori o fumi di qualunque specie prodotti nello svolgimento dei lavori. L’ emissione di gas di scarico nell’ ambiente di lavoro deve essere abbattuta secondo il punto 2.1.4 bis dell’ allegato IV del D.Lgs.81/08.
A BREVE INIZIERANNO LAVORI PER UNA SEMPLICE RISTRUTTURAZIONE INTERNA DI UN ALLOGGIO IN PROVINCIA DI SAVONA, DOVE LAVORERA’ L’ IMPRESA EDILE, L’ IDRAULICO (LIBERO PROFESSIONISTA) E L’ ELETTRICISTA (LIBERO PROFESSIONISTA). IL DUBBIO CHE HO E’ CHE CI SIA L’ OBBLIGATORIETA’ DI REDIGERE UN PSC O SOLO ACCERTARSI DELLA VERIFICA DELLA IDONEITÀ TECNICO-PROFESSIONALE DELLE DITTE E DEI LAVORATORI. L’ ARTICOLO 90 DEL D.LGS.81/08 DICE CHE IL PSC È OBBLIGATORIO IN PRESENZA DI PIU’ IMPRESE , MA IO MI DOMANDO SE IL LAVORATORE AUTONOMO È EQUIPARATO A “IMPRESA”. EVENTUALMENTE PER NON REDIGERE IL PSC, L’ IMPRESA PUÒ NEL SUO POS INGLOBARE ANCHE I 2 ARTIGIANI ?
La dottrina, sin dal D.Lgs.494/96, ha ritenuto che nell’ indicare “imprese” il legislatore abbia voluto indicare imprese articolate con almeno un lavoratore (e quindi un datore di lavoro) escludendo dal computo i lavoratori autonomi.
Attualmente il D.Lgs.81/08 richiede “la presenza di più imprese esecutrici” che sono definite dall’ articolo 89 come “impresa che esegue un’ opera o parte di essa impegnando proprie risorse umane e materiali”, mentre la definizione di lavoratore autonomo è quella di “persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’ opera senza vincolo di subordinazione”.
Nonostante quindi si debba ritenere che il lavoratore autonomo non debba essere computato tra le imprese si deve registrare una recente sentenza di segno contrario (Cassazione Sezione IV, Sentenza n. 1770 del 16 gennaio 2009).
Infine se il lavoratore non è autonomo, ma è subordinato all’ impresa deve essere soggetto alla tutela da parte del datore di lavoro e quindi anche inserito nel POS.
Si fa ancora rilevare che l’ allegato XV “Contenuti minimi dei piani di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili” del D.Lgs.81/08, al punto 3.2.1, lettera a), numero 7), stabilisce che il POS deve contenere, tra l’ altro, l’ indicazione dei lavoratori autonomi operanti in cantiere per conto dell’ impresa esecutrice stessa.
LA MANCATA INDIVIDUAZIONE DEL DIRETTORE TECNICO DI CANTIERE O DEL CAPOCANTIERE POTREBBE ESSERE SANZIONATA DALL’ ARTICOLO 159, COMMA 1 DEL D.LGS.81/08, STANTE CHE I NOMINATIVI DI TALI FIGURE SONO RICHIESTE DALL’ ALLEGATO XV, PARAGRAFO 3.2.1, PUNTO 6 DEL MEDESIMO DECRETO IN QUANTO CONSIDERATI CONTENUTI MINIMI DEL POS ?
Sì, l’ allegato XV definisce i requisiti minimi del POS e, quindi, ex articolo 159, l’ assenza di uno o più elementi dell’ allegato XV integra la violazione punita con l’ ammenda da 2.000 a 4.000 euro.
La raccolta di quesiti sul D.Lgs.81/08 a cura della Direzione Sanità, Prevenzione Sanitaria ambienti di vita e di lavoro della Regione Piemonte è scaricabile all’ indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/110927_Reg_Piemonte_quesiti_81.pdf
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