«In nome di Dio, dell'Italia e dell'Europa, vattene!»: il Financial Times in un editoriale esorta il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi a lasciare il potere, echeggiando le parole un tempo usate nel 1653 dal condottiero repubblicano inglese Oliver Cromwell in polemica con il Parlamento creato dopo l'abbattimento della monarchia: «In the name of God, Italy and Europe, go!».
Anche se non è la prima volta che l'autorevole quotidiano britannico sollecita un cambio di governo in Italia, l'editoriale di oggi è più che mai esplicito e pressante. Il Ft dedica al premier italiano anche l'apertura del suo sito internet: «Berlusconi minimizza la crisi del debito». Dopo il G20, spiega il quotidiano, il primo ministro ha detto di avere rifiutato un prestito del Fondo monetario internazionale, aggiungendo che in Italia non si sente la crisi e che gli attacchi ai titoli sono «una moda passeggera».
Nell'editoriale, il Financial Times mette a confronto i due premier europei nei cui confronti al G20 i più potenti leader del mondo sono stati «impotenti», George Papandreou e Silvio Berlusconi.
Le somiglianze tra i due primi ministri sono, secondo il Ft, «impressionanti»: entrambi hanno un'esile maggioranza parlamentare, sono in disaccordo con il proprio ministro delle Finanze e hanno «una pericolosa tendenza a rinnegare le promesse» mentre i mercati temono per le finanze pubbliche del loro Paese. Ma, sottolinea l'editoriale, «c'è un'importante differenza»: avendo raggiunto 1.900 miliardi di euro, il debito pubblico italiano è così alto che «il suo potenziale di destabilizzare l'economia mondiale è molto superiore a quello di Atene».
«La buona notizia è che l'Italia è ancora un Paese solvibile», nota il Ft. Tuttavia, il tasso d'interesse sul suo debito sta diventando «sempre meno sostenibile». Ieri lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi ha raggiunto il record di 463 punti base. «Anche se Roma può sostenere alti tassi d'interesse per un periodo di tempo limitato, il processo va fermato prima che diventi ingestibile», avverte il quotidiano.
L'aspetto più inquietante – continua l'editoriale – è che tutto ciò accade anche se l'Italia ha accettato, in linea di principio, di fare le riforme raccomandate dall'Europa e dal G20. Il monitoraggio del Fondo monetario internazionale «può solo essere una buona cosa». Tuttavia, ciò rischia di essere messo a repentaglio «finché il Paese mantiene lo stesso leader». Non essendo riuscito a fare riforme in due decenni, «Berlusconi manca della credibilità per realizzare un cambiamento significativo».
Il Financial Times ammette che «sarebbe ingenuo» pensare che, una volta partito Berlusconi, istantaneamente l'Italia recuperi la piena fiducia dei mercati. «Rimangono nubi sul futuro politico del Paese e le riforme strutturali impiegheranno del tempo prima di potere incidere sul tasso di crescita».
Ma «un cambio di leadership è imperativo». Un nuovo primo ministro che si impegni su un'agenda di riforme «rassicurerebbe i mercati», che disperatamente attendono un piano credibile. Ciò, secondo il Ft, renderebbe più facile per la Banca centrale europea continuare ad acquistare titoli italiani, «poiché renderebbe meno probabile che l'Italia rinneghi le sue promesse». Dopo due decenni di decenni di «inefficace» presenza da showman, conclude l'editoriale, «le sole parole da dire a Berlusconi echeggiano quelle un tempo usate da Oliver Cromwell: «In the name of God, Italy and Europe, go!».
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