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22.1.11

Scandalo escort (1) – Come può una donna affidare il suo voto a una classe politica del genere?


Avevamo pensato di utilizzare questo messaggio arrivato in redazione nella sezione C’è posta per noi. C’era già il titolo, “Caro Domani, mi vendo perché mi pagano. Si chiama mercato, dove esistono domanda e offerta”, e avevamo mantenuto la richiesta della mittente di pubblicarne solo le iniziali per ovvie ragioni, “V. V., hostess, ragazza immagine, talvolta escort, Milano”. Ecco cosa ci scriveva:
“Ma di cosa vi scandalizzate tanto? Pensate davvero che noi, prostitute d’alto bordo, per usare un linguaggio un po’ desueto (sono stata a scuola anche io, addirittura ho preso una laurea umanistica), siamo solo delle bellocce parcheggiate nei bar tra Brera e via Monte Napoleone in attesa del cliente di turno? Ora vi racconto per sommi capi la mia storia. Faccio parte anche io delle bellocce. All’università facevo di giorno la hostess nelle fiere e la sera ballavo nelle discoteche. Non c’è voluto molto per fare il “salto di qualità”: aggiungere delle entrare extra a quelle che si possono inserire nella dichiarazione dei redditi. Vado a cena con un farmacista, a teatro con un avvocato, a fare shopping con uno sportivo. A letto con tutti. Loro mi pagano (e pagano le varie ed eventuali: ristorante, hotel, boutique) e io vendo quello che vogliono. Non ho uno “sfruttatore”, non metto annunci su Internet per adescare, mi limito a beneficiare di un passa parola benevolo nei miei confronti. Io sarei una di quelle che avrebbe preso il taxi per tornare a casa perché mi sono imposta delle regole (o, per meglio dire, delle garanzie di auto-tutela). Non voglio sfondare nel mondo dello spettacolo, preferisco che volto e dettagli fisici rimangano anonimi. Ma ne conosco tante di ragazze che quel “disposta a fare tutto” lo sono. È il mercato: a fronte di domanda costante, c’è offerta. E più in alto si vuole puntare, più si deve essere disponibili a cedere. Pensate davvero che questo fenomeno un giorno potrà essere stroncato?”
Poi, discutendone, ci abbiamo ripensato. L’estate scorsa l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha diffuso un’indagine in cui, in Italia, solo il 46,4 per cento delle donne in età lavorativa è occupata. L’Istat invece ci informa che 6 milioni sono quelle che, tra i 16 e i 70 anni, hanno subìto una qualche forma di violenza, la maggior parte nell’ambito domestico. Un recente libro di Loredana Lipperini (“Non è un paese per vecchie”, recensito su queste pagine) racconta invece che il tenore di vita delle anziane è inferiore a quello degli coetanei dell’altro sesso e che il carico dei problemi familiari grava quasi in toto sulle spalle donne mature (sopra i 50 anni).
Il prodotto che scaturisce da questi fattori non è molto diverso dal frutto di analisi ben più articolate: la questione femminile, in questo Paese, è tutt’altro che risolta. Certo, non siamo ai livelli descritti dalle immagini del recentissimo bel film francofono Women are heroes, che affronta ben altri tipi di problemi vissuti dalle donne di Brasile, India, Kenia e Cambogia. Ma qualche interrogativo ci viene da aggiungerlo a quello posto dalla milanese V. V.
In merito alle donne al potere (almeno politico) in Italia, gli ammiccamenti alludono alle abilità più impudiche, non alle reali capacità professionali. Sul piccolo schermo bucano, più che le brave giornaliste o conduttrici, le scosciate, che diventano maîtresse à penser di salotti dai titoli orwelliani o talk show dalle emozioni facili e forti (si noti poi che in termine francese maîtresse si può tradurre anche con il corrispettivo “amante”). Nei commenti che si vorrebbe appartenessero a un para-sciovinismo d’altri tempi, quella femminile non è una presenza qualificata a cene o occasioni pubbliche. Al più è una presenza piacevole, che allieta, che fa complemento d’arredo al pari di un bel bouquet di fiori o di un quadro d’autore (difficilmente d’autrice). In quelli più boccacceschi di questi giorni, la donna sveste (verbo azzeccato, per quanto metaforico in questo contesto) i panni dell’essere umano e assume i connotati dei suoi attributi anatomici, come se si assistesse a uno snuff movie: pezzi di carne macellati e pronti da consumare.
Le cronache dei giornali e i documenti giudiziari che filtrano ci parlano di situazioni riconducibili a una specifica parte politica, per quanto qualche nome dell’opposta fazione lo si ritrovi negli incartamenti. Qui però non si vuole fare una questione di partigianeria, si vuole parlare di quei potenti in base all’accoppiata cromosomica XY, quella che caratterizza i mammiferi maschi. E si vuole interrogare le donne. In una trasversalità politica e anagrafica sorprendente, si è sentito spesso dire che il femminismo avrebbe, quando va bene, stancato. Altrimenti avrebbe fallito. Per quanto personalmente si trovi fuori luogo un’affermazione del genere, non si vuole spingere nessuna a un ritorno alle istanze di tutela di genere portate avanti in passato. Si cerca solo qualche risposta.
Perché – secondo le cittadine italiane – si è arrivati in tempi di post-modernità a una concezione della donna come strumento di piacere, quando non di vero e proprio strumento di controllo (o manipolazione. Si veda un fresco articolo del New York Times)? Com’è possibile conferire la propria fiducia di elettrici a una classe politica che irride le quote rosa imposte per legge e informalmente le riserva a presunte concubine o sospette complici? È dunque il basso impero – o un revival di sconcio assolutismo pre-rivoluzionario – l’immagine pubblica dentro cui inchiodare alcune donne italiane mentre molte altre sono a casa a studiare, crescere figli, far quadrare i conti, talvolta prenderle dai compagni o, se occupate, far doppio lavoro – dentro e fuori le pareti domestiche – per mantenere lo status quo di una società maschilista che diventa matriarcale solo quando bisogna farsi carico di fatica e lacrime?
20-01-2011



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