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4.12.10

Wikileaks e l'atteggiamento (debole) italiano



Mentre in questi giorni la stampa, la diplomazia e addirittura il governo italiani si contorcono a causa dei “festini selvaggi”, mentre i giornali di maggioranza si scandalizzano della potenza di internet (e Frattini in crisi mistica grida alla fine del mondo!), e mentre i giornali di opposizione presentano le due righe due della funzionaria statunitense come fosse la voce che giunge dal cespuglio di Mosè, scordandosi che tomi e tomi di quelle cose lì le hanno scritte loro stessi per anni; mentre tutto questo accade, il nostro Paese sta dando prova di non voler cogliere alcuni altri aspetti che ci sono sembrati interessanti.
In realtà i dati importanti, nel marasma delle migliaia di file, ci sono, eccome, e ne abbiamo individuati 5, di cui uno indiretto ma sostanziale.

Dato 1: una sola voce, un sol pensiero.
Per quanto Assange, il guru di Wikileaks, abbia svergognato e probabilmente beffato la diplomazia, i funzionari ed il governo americani, non possiamo scordarci che tutto quel che è stato diffuso finora (perché, attenzione, i documenti pubblicati sono solo una minima parte di quelli in possesso del server svedese) è propriamente il punto di vista statunitense sul resto del mondo.
Ufficiali o ufficiosi, ironici o sostanziali, realistici o avventati, tutti i commenti che in questi giorni vengono letti, analizzati, sbandierati sui mezzi di comunicazione sono comunque uno straordinario Giudizio Universale Americano. Non c'è un solo giudizio (positivo o negativo) rivolto agli USA, né tra Paesi terzi. Leggere i dati diffusi vuol dire vedere il mondo attraverso una sola, unica, lente interpretativa.
Non sembra essere un caso che quasi tutti i commenti siano negativi o sarcastici: per quanto “democratico” questo metodo di “trasparenza totale” possa sembrare, esso in realtà comunica a tutto il mondo le critiche e le pagelle USA nei confronti di tutti gli altri. La trasparenza è quindi totale, ma non universale. È vettoriale, da punto A verso i punti B, C, D....Z, e non a rete, da ciascun punto versi tutti gli altri punti, contraddicendo quindi plasticamente la stessa struttura sul quale il messaggio viaggia: il web

Dato 2: un'enciclopedia di psicanalisi.
Non ci sono molti dati politici, in questo mare di carte (o di pixel), a quanto pare. Per quel che è dato leggere, la immane macchina diplomatica americana, salvo eccezioni di un qualche conto, si riferisce ai Paesi stranieri solo attraverso i loro leaders, e a questi leaders solo attraverso una sorta di compendio di patologie mentali.
È grottesco mettere in fila i commenti. Sarkosy sarebbe un autoritario senza scupoli; Netanyahu un bugiardone; Kim Jong Il è un vecchio tizio flaccido che ha sofferto di traumi fisici e psicologici;  Karzai è paranoico; Berlusconi è un debilitato psichico, tra Puntin e Medvedev c'è la sindrome di Batman e Robin; Chavez è definito direttamente un pazzo, Ahmadinejad squilibrato è forse pazzo, Mugabe un vecchio pazzo. Persino di Cristina Kirchner, la presidente argentina, si dubita dello stato di salute mentale.
Insomma, la Terra vista come un coacervo di matti svitati, di affetti da cretinismo e da demenza più o meno senile.
Di solito un simile atteggiamento, quello che identifica tutti gli altri come pazzi, tutti tranne sé stessi, è indice di una grave ossessione, per l'appunto. Ma siccome non ci piace giocare a chi ha perso per primo qualche rotella, ci domandiamo se questa pioggia di cartelle manicomiali sia seria, sia tutto quello che c'era da sapere, o se non è che una sorta di coperta su ben altro. Perché altrimenti dovremmo immaginarci le ambasciate americane nel mondo come popolate da psichiatri maldestri, psicologi in cerca di fama e procaci infermierone bionde, come quelle attribuite a Gheddafi. Poco, troppo poco, per essere vero.

Dato 3: lo spionaggio.
Forse siamo poco fantasiosi, o poco morbosi, ma tra gonnelle e manie, ci è parso di trovare una notizia della quale sarebbe bene parlare: la immane operazione di spionaggio messa in atto a danno dell'ONU, delle sue istituzioni e dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. L'ONU è, come si sa, patrimonio comune dell'Umanità, politicamente parlando. Il fatto che una potenza, sfruttando magari il semplice fatto che le istituzioni dell'Organizzazione abbiano sede nel proprio territorio, si sia permessa di riempire di cimici e microfoni stanze, uffici, abitazioni e rappresentanze, dovrebbe far scandalo ed aprire il VERO dibattito a livello mondiale.
Questo, unito al fatto che poi, in una sorta di contrappasso, tutte le comunicazioni di tutti i diplomatici americani siano state a loro volta “intercettate”, getta una ombra lunga sulla estrema pervasività e sfacciataggine, nonché sulla contestuale fragilità e debolezza delle agenzie di informazioni USA, da una parte dotate di superpoteri e superfunzioni, e dall'altra incapaci di controllare, contenere e controbattere i rovistatori nel cestino della carta straccia. Amesso che fosse il cestino giusto.

Dato 4: l'Italia non è solo festini.
Sì, certo, lo sappiamo: a Berlusconi piacciono le donnine. Ce lo dicono, con tanto di particolari scabrosi, di registrazioni audio temerarie e di foto a supporto, quasi tutti i giornali italiani. Ma nei files di Wikileaks non c'è solo quello. Ci sono anche le relazioni internazionali del nostro Paese. Sbaglierebbe chi volesse classificare quanto raccolto finora come semplici “prove della inaffidabilità” di Silvio e dell'Italia.
Nelle pagine da noi lette, si commenta ad esempio l'atteggiamento italiano verso il gasdotto meridionale, che Berlusconi preferisce a quello settentrionale come fonte di approvvigionamento energetico dalla Russia. È una italianata? È sbagliato? Non proprio, è solo non rispondente alle preferenze americane (di allora). Lo stesso considerare Berlusconi come portavoce di Putin, al di là del folklore al colbacco...è una ovvia conseguenza del ruolo che l'Italia ha avuto nei rapporti est-ovest, che non sempre è stato negativo. Ad esempio, decisivo fu il nostro apporto per evitare una guerra tra Russia e Georgia nel 2008. E la relazione sul profilo di Frattini, quello nel quale il ministro degli esteri chiede di coinvolgere Cina e India per risolvere la crisi iraniana...è qualcosa da disprezzare?
Sarebbe casomai da analizzare, in un sistema di informazione serio, se e quanto e come e perché le posizioni dell'Italia pesano, sono considerate, hanno avuto effetti benefici o meno per i nostri interess nazionali. E non per quelli del fratellone maggiore d'oltre oceano!

Dato (indiretto) numero 5. La debacle dei media italiani.
Insomma, i giornali italiani si stanno spendendo nel solito affannato scontro pro o contro Berlusconi e la sua più o meno stimata figura di viveur. Ma ciò che dovrebbe preoccuparli a fondo ed aprire una ampia discussione ed un confronto culturale critico senza precedenti, è il fatto che sono stati proprio i media italiani, tra quelli di tutti gli altri più importanti Paesi occidentali, ad essere stati completamente esclusi dalla partecipazione all'evento così ben organizzato da Assange.
Come tutti sanno, la pubblicazione dei dati non è stata né disordinata, né confusa, né immediata né generalizzata, ma studiata e organizzata in collaborazione tra Wikileaks e New York Times, Der Spiegel, The Guardian, El Pais e Le Monde. Insomma, tutti media di pari livello di diffusione e di penetrazione nazionale dei nostri giornali, alcuno addirittura legati alla nostra stampa da patti editoriali strettissimi (El Pais con la Repubblica e lo Spiegel con l'Espresso), ma considerati, per una ragione o per l'altra, maggiormente degni di ricevere anticipazioni, materiali, files e di pubblicarli direttamente. A tutta la nostra roboante stampa nostrana non è rimasto che accodarsi in buon ordine, e scopiazzare (probabilmente pagando) da questo o da quel sito o redazione stranieri.

Una figuraccia a livello planetario che vuol dire solo quattro cose (che non si escludono a vicenda): o l'Italia proprio non conta niente proprio per nessuno proprio in nessun senso; o la nostra stampa ed i potentati che stanno ad essa dietro sono considerati di scarsa qualità, inaffidabili e quindi pericolosi; o la nostra stampa ed i potentati che le stanno dietro non sono stati capaci, per inettitudine, di fare lo stesso lavoro dei loro pari stranieri, o Wikileaks ha temuto che dei media così notoriamente italicentrici ed autoreferenziali avrebbero scritto e discusso solo delle donnine di Berlusconi (cosa che, in effetti, accade).
In ogni modo, lo stare a rimorchio, come stampa, come politica, come Paese, pare essere quello che più di ogni altra cosa Wikileaks ha svelato su di noi.

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