Lettera aperta a Silvio Berlusconi di Gaetano Alessi
Gentilissimo Presidente
Le scrivo in rappresentanza delle centinaia di testate locali che ogni giorno, nel nostro paese, si battono per la libertà d’espressione. Piccoli “nidi di ragno” innestati in territori spesso difficili o come, nel nostro caso, in terra di mafia, clientelismo e corruzione. Gentilissimo Presidente, ogni giorno “giornalisti per amore” vengono pestati, minacciati, intimiditi per l’unica colpa di volere raccontare la verità, di tentare di rendere onore ai padri costituenti che ci regalarono l’Articolo 21 della Costituzione ed, insieme ad esso, la democrazia e la libertà col costo di migliaia di vite umane.
Siamo carne da macello, signor Presidente, alla mercé di mafiosi, politici corrotti e scagnozzi che vogliono rendersi belli agli occhi dei capi. Spesso soli nelle nostre battaglie, nelle denunce da Trento a Trapani. Siamo anche quelli che conoscono meglio il territorio, perché lo viviamo ogni giorno. Perché col mafioso o col politico corrotto che denunciamo spesso ci tocca dividere il bancone dello stesso bar. Siamo anticorpi democratici di un paese che, anche grazie al suo governo, sta andando in cancrena.
Abbiamo mille volti e mille mezzi. Siamo blogger, speaker, redattori, scriviamo via web, parliamo via etere, raccontiamo su carta. Non siamo giornalisti ma veniamo perseguitati come tali. Abbiamo i nostri eroi, alcuni scolpiti nella storia come Peppino Impastato, altri fortunatamente ancora liberi di esprimere il loro pensiero come Carlo Ruta o Pino Maniaci. Ma soprattutto gentilissimo Presidente abbiamo fatto la nostra scelta: la nostra libertà vale molto di più delle nostra vita.
Dove non hanno potuto i bossoli, le lettere intimidatorie, le minacce, le denuncie, le querele mirate, dove non ha potuto la più potente ed influente famiglia politico/mafiosa della Sicilia, non potrà una legge canaglia come quella sulle intercettazioni.
Lei e il suo fido Alfano v’illudete che una norma moralmente illegale possa diventare prassi solo perché vergata su crismi di burocratica legalità.
Signor Presidente noi continueremo a fare il nostro lavoro, raccontando quello che avviene, anticipando la notizia, veicolando le news e se il caso, scrivendo quello che (secondo voi) non si deve raccontare.
“Disonorare i mascalzoni è cosa giusta, perché, a ben vedere, è onorare gli onesti”. Sa perché gentilissimo Presidente non potrà mai batterci? Perché giochiamo su un terreno a Lei sconosciuto. Quello della libertà individuale che diventa patrimonio collettivo. Non siamo in vendita e sappiamo “resistere” a tutto.
Siamo liberi e quello che facciamo lo facciamo di tasca nostra, rischiando di nostro. Perché è facile dire per una grande testata “noi resisteremo” dall’alto d’avvocati ben pagati e gruppi editoriali forti ma è ben più difficile farlo quando quel poco che hai in soldi di carta e rabbia ti serve anche per mangiare ogni giorno.
Ma lo facciamo in tutta Italia, da classici signor nessuno, senza enfasi o protagonismi. Perché amiamo il bello del nostro paese e ogni muro amico che ci ha visto piangere o sognare. Perché diciamo ogni giorno di voler mollare ed ogni giorno troviamo la forza di andare avanti. Perché amiamo le nostre donne e ci perdiamo negli occhi dei nostri figli a cui vorremmo consegnare qualcosa di più bello del paese attuale.
Ed abbiamo riferimenti etici alti: Pietro Ingrao, Vittoria Giunti, Luigi Ciotti, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e quel Piero Calamandrei che dei partigiani italiani diceva così:” Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile: quella di morire, di testimoniare con la fede e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole: quello di tradurre in leggi chiare, stabili ed oneste il loro sogno di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli”.
Non li tradiremo signor Presidente.
“Se ci volete silenti dovete spararci” dicemmo da ragazzini, di un piccolo giornale locale (Ad Est) di un piccolo paese dell’entroterra agrigentino, ad uno scagnozzo mafioso che ci intimava di tacere.
Lo ripetiamo a Lei che con l’aureola della legalità vuole imporci lo stesso mafioso silenzio.
Non taceremo e non molleremo neppure un centimetro. Quindi signor Presidente non ha altra scelta: ritiri la legge o prepari tanti proiettili, perché siamo in molti.
Indietro non torniamo…neanche per prendere la rincorsa.http://gaetanoalessi.blogspot.com/
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