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6.9.09

GUIDO MORSELLI - DISSIPATIO HUMANI GENERIS


La triste parabola dell’atipico Guido Morselli, scrittore di estrazione borghese e granitica vocazione letteraria, si è conclusa nel 1973; rimasto pressoché inedito sino alla fine dei suoi giorni, ha conosciuto da spettro una progressiva affermazione italiana ed europea. Era uno scrittore scomodo. Era un talento distante dall’accademia, distante dai circoli culturali, dal gotha delle avanguardie. Aveva uno stile estraneo alla contemporaneità: era un estroso autodidatta, dalle disordinate e controverse letture.
Il romanzo “Dissipatio Humani Generis” fu terminato pochi mesi prima della prematura morte dell’autore.
Relitti fonico-visivi mi tengono compagnia, e sono ciò che di più diretto mi rimanga di ‘loro’”.
Questo il folgorante incipit. Il romanzo è breve, intenso, disperato; una desolante contemplazione dell’umanità, della caducità dell’esistenza, un ininterrotto dialogo con l’idea del suicidio.
Il protagonista del testo, l’unico scopertamente autobiografico del Morselli, viaggia al termine della sua notte: sin dalle prime battute, si ha la sensazione di assistere ad un naufragio spirituale che lacera, dilania, paralizza; il nostro non sembra avere memoria di quanto gli è avvenuto. Progressivamente, quasi sotto l’effetto di una cupa e devastante ipnosi, ricorda di aver deciso di uccidersi poche ore prima di compiere quaranta anni (il pensiero torna al ” di Drieu La Rochelle); di avere improvvisamente cambiato idea, e – al suo ritorno a casa – di non aver trovato più neppure l’ombra di vita umana. L’umanità si è dissolta. Svanita. Tutto è deserto; gli uomini, come in un vecchio testo di Giambico, sono evaporati, si sono come nebulizzati (congettura: influenza de La nube purpurea di Shiel?).
Opera dunque che affronta il tema della veridicità della memoria: se la percezione della realtà si fa confusa o incredibile, l’unica possibilità sembra essere quella di aggrapparsi alla memoria. La scrittura si fa medium di interpretazione, riflessione e comprensione della realtà. Scrivendo, il narratore ricostruisce la sua vicenda esistenziale; e pur permanendo incerto se quanto gli stia avvenendo sia reale o sia una visione, al termine sembra prender coscienza che quanto avvenuto, e la prossima annunciata apparizione dell’amico morto anni prima, convergano nel decretare che egli è morto, e tuttavia l’intera umanità s’è dissolta assieme a lui. Gli orologi interrompono il loro corso: la natura si riappropria della terra, una volta scomparso l’uomo. La menzogna, sembra suggerire l’opera, può essere affermare che “l’altro” esista (la memoria va al Minotauro di Dürrenmatt) se l’io scompare, in un certo senso scompare tutta l’umanità, non potendo più essere percepita dall’io.
Morselli si uccise il 31 luglio del 1973. “Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato; ho oziato, la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, non ho ottenuto nulla; ho bestemmiato, non ho ottenuto nulla. Sono stato egoista sino a dimenticarmi dell’esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato; ho fatto del male, non sono stato punito. Tutto è egualmente inutile” (Quaderno XIII, 6 novembre 1959).

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Luciana P. Pellegreffi

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