Leggo sul Corriere della sera dell’ 11 maggio 2009 questo titolo: ”L’anima sociale dei centri commerciali” e ho avuto un terremoto interno di lieve magnitudo, ma pur sempre un terremoto e francamente mi chiedo quanto neuroni sono a disposizione di certi “giornalisti” e “se” ormai è scontata la sostituzione tra ”informazione” e “propaganda”.
Vi giro quindi l’articolo e le mie riflessioni per un utile confronto; il neretto è mio.
Art: L’anima sociale dei centri commerciali - Il volume di Sassoli presenta il volto umano delle grandi aree d’acquisto. Ascoltando chi li frequenta: “ A prima vista, le fiere medievali, così magnificamente rappresentate da Brueghel nei suoi quadri, e i nostri contemporanei shopping center sembrerebbero avere poco in comune. Eppure vanno considerati, prima ancora che come luoghi del consumo, come diversi modi di socializzare e passare il tempo: sono dei «luoghi polimorfi, che all’originaria funzione di "tempio del consumo" stanno aggiungendo via via altre funzioni, intrecciando sempre più tra loro quelle del cosiddetto tempo libero a quelle lavorative tipiche delle economie terziarizzate».
Tra Firenze e Prato, vicino a Calenzano (qualche lettore si ricorderà forse che proprio a Calenzano, agli inizi della sua industrializzazione, nel 1947 arrivò un giovane prete che poi divenne assai famoso: don Lorenzo Milani), si trova il centro commerciale «I Gigli»: visitato da oltre tredici milioni di persone ogni anno, è lo shopping center più frequentato d’Italia. Interessantissime sono le interviste che l’autrice riporta, effettuate proprio in questo luogo che comprende, oltre all’ipermercato, non solo 120 esercizi commerciali e 18 ristoranti, ma anche un ufficio postale, studi medici delle varie specialità, due banche, una farmacia, un’agenzia di viaggi, un’edicola, un tabacchi, una lavanderia e una sartoria, due baby areas , di cui una con personale di baby-sitting.
Dice Niccolò (18 anni): «ci veniamo anche per studiare insieme, copiamo gli appunti e ripetiamo per le interrogazioni. È più divertente farlo insieme mentre mangiamo una pizza, spostiamo i tavolini e ci raggruppiamo». Per Daniela (73 anni), «è un posto piacevole e gioioso. C’è luce, musica e tanti giovani a spasso».
Al contrario di quanto affermato da una certa ideologia «anti-consumistica» (di cui don Milani è stato un precursore), i frequentatori dei moderni centri commerciali non sono necessariamente «sciami di insetti umani, individui che pascolano in consumifici, automi benestanti» (Marcello Veneziani), ma persone che hanno trovato un luogo piacevole per stare insieme, rinforzare relazioni amicali o familiari, così come un tempo avveniva nella piazza Mercatale di Prato. Tutto vero e lo sarà sempre di più ....."
Ora mistificare i centri commerciali “studiati” non solo per offrire una vasta gamma d’acquisto, ma anche per “intrattenere” il cliente in loco il maggior tempo possibile offrendo pasti, gelati, ecc. con una supposta anima sociale e un volto umano degli stessi mi sembra un insulto all’intelligenza e alla conoscenza delle più banali leggi di mercato.
La mancata analisi delle amministrazioni comunali sulla gestione del loro territorio mi pare lacuna non da poco, dato che se i giovani si trovano nel centro commerciale e non in stutture di ritrovo in quartiere non è certo nè un caso, nè una libera scelta.
Si tace che per ogni centro commerciale in attività:
- si sono desertificate interi quartieri dove ormai è impossibile servirsi sotto casa per la mancanza di negozi o la mancanza di tutta l’offerta perchè molti di essi sono stati costretti alla chiusura;
- gli anziani hanno problemi a fare la spesa completa perché “sotto casa” non vi è quasi più nulla e le distanze sono difficili o impossibili da gestire; problema che si esaspera in agosto con le chiusure per ferie;
- si è obbligati ad usare l’auto per raggiungere questi centri, spesso posti fuori dal centro abitato, aumentando così l’inquinamento ambientale e i costi da sostenere individualmente per gli acquisti;
- si è affievolito il tessuto sociale del quartiere stesso perché i residenti non hanno più la possibilità di conoscersi anche attraverso la frequentazione dei negozi, bar, trattorie, ecc. sotto casa.
Se vi pare poco …
Dimenticavo l’affermazione secondo la quale le persone “… hanno trovato un luogo piacevole per stare insieme, rinforzare relazioni amicali o familiari così come un tempo avveniva nella piazza ….“.
Ma stiamo scherzando ?
Se fosse vero che le persone rafforzano le loro relazioni sociali e famigliari nei centri commerciali ci sono alcune cose che sicuramente non vanno!
E c’è di che preoccuparsi seriamente dato che è in parte vero.
Se tali relazioni si rafforzano in un centro commerciale è perché non vi sono luoghi di aggregazione sociale sul territorio e c’è qualcosa che dovrebbe essere "rivisto”.
L’aggregazione sociale passa anche attraverso biblioteche di quartiere (in fase di riduzione/chiusura), luoghi di aggregazione per tutte le età, cinema, trattorie, bar, negozi e luoghi liberamente aperti e in fasce d’orario serie (pomeriggio e sera) senza l’obbligo della consumazione e dislocati in tutti i quartieri.
In tal modo, dai giovani agli anziani, si avrebbe l’opportunità di incontrarsi, conoscersi e creare quei legami sociali nei quartieri, almeno della città medio-grandi, ormai in via di estinzione, ma indispensabile per una vivibile città.
Molte amministrazioni locali hanno scelto la liberalizzazione selvaggia delle licenze dei centri commerciali, così come a Milano. Il risultato è la desertificazione di interi quartieri da un lato e dall’altro la costruzione di molti centri commerciali in città e nell'hinterland, la concentrazione dei cinema e locali, bar, ristoranti, ecc. in centro o in alcune specifiche zone (es. navigli, garibaldi) producendo, oltre a quanto sopra descritto, anche vari problemi di viabilità e quiete notturna persa per chi si trova ad abitare in quelle zone.
Tale politica di programmazione dello sviluppo delle attività commerciali a scapito di una sana politica della gesione sociale del territorio sposa la logica per cui il cittadino ha perso il suo valore intrinseco di cittadino per essere solo un consumatore a cui proporre acquisti ovunque e comunque.
Pertanto, non si mistifichi la bontà sociale dei centri commerciali e si smascheri la mancata saggezza dello sviluppo sociale delle città, Milano in primis.
Risparmio il grande valore umano in cui vengono considerati i dipendenti di tali centri: precarietà, turni massacranti, mancati riposi pausa "bagno" e in ultimo l’apertura il 25 aprile e il primo maggio perché il mio terremoto interno sta aumentando la sua magnitudo….
Altra visione dei centri commerciali: LA MAFIA ED I DUE CENTRI COMMERCIALI
Per approfondire: Marc Augé sul Nonluogo e Sudmodernità
Vi giro quindi l’articolo e le mie riflessioni per un utile confronto; il neretto è mio.
Art: L’anima sociale dei centri commerciali - Il volume di Sassoli presenta il volto umano delle grandi aree d’acquisto. Ascoltando chi li frequenta: “ A prima vista, le fiere medievali, così magnificamente rappresentate da Brueghel nei suoi quadri, e i nostri contemporanei shopping center sembrerebbero avere poco in comune. Eppure vanno considerati, prima ancora che come luoghi del consumo, come diversi modi di socializzare e passare il tempo: sono dei «luoghi polimorfi, che all’originaria funzione di "tempio del consumo" stanno aggiungendo via via altre funzioni, intrecciando sempre più tra loro quelle del cosiddetto tempo libero a quelle lavorative tipiche delle economie terziarizzate».
Tra Firenze e Prato, vicino a Calenzano (qualche lettore si ricorderà forse che proprio a Calenzano, agli inizi della sua industrializzazione, nel 1947 arrivò un giovane prete che poi divenne assai famoso: don Lorenzo Milani), si trova il centro commerciale «I Gigli»: visitato da oltre tredici milioni di persone ogni anno, è lo shopping center più frequentato d’Italia. Interessantissime sono le interviste che l’autrice riporta, effettuate proprio in questo luogo che comprende, oltre all’ipermercato, non solo 120 esercizi commerciali e 18 ristoranti, ma anche un ufficio postale, studi medici delle varie specialità, due banche, una farmacia, un’agenzia di viaggi, un’edicola, un tabacchi, una lavanderia e una sartoria, due baby areas , di cui una con personale di baby-sitting.
Dice Niccolò (18 anni): «ci veniamo anche per studiare insieme, copiamo gli appunti e ripetiamo per le interrogazioni. È più divertente farlo insieme mentre mangiamo una pizza, spostiamo i tavolini e ci raggruppiamo». Per Daniela (73 anni), «è un posto piacevole e gioioso. C’è luce, musica e tanti giovani a spasso».
Al contrario di quanto affermato da una certa ideologia «anti-consumistica» (di cui don Milani è stato un precursore), i frequentatori dei moderni centri commerciali non sono necessariamente «sciami di insetti umani, individui che pascolano in consumifici, automi benestanti» (Marcello Veneziani), ma persone che hanno trovato un luogo piacevole per stare insieme, rinforzare relazioni amicali o familiari, così come un tempo avveniva nella piazza Mercatale di Prato. Tutto vero e lo sarà sempre di più ....."
Ora mistificare i centri commerciali “studiati” non solo per offrire una vasta gamma d’acquisto, ma anche per “intrattenere” il cliente in loco il maggior tempo possibile offrendo pasti, gelati, ecc. con una supposta anima sociale e un volto umano degli stessi mi sembra un insulto all’intelligenza e alla conoscenza delle più banali leggi di mercato.
La mancata analisi delle amministrazioni comunali sulla gestione del loro territorio mi pare lacuna non da poco, dato che se i giovani si trovano nel centro commerciale e non in stutture di ritrovo in quartiere non è certo nè un caso, nè una libera scelta.
Si tace che per ogni centro commerciale in attività:
- si sono desertificate interi quartieri dove ormai è impossibile servirsi sotto casa per la mancanza di negozi o la mancanza di tutta l’offerta perchè molti di essi sono stati costretti alla chiusura;
- gli anziani hanno problemi a fare la spesa completa perché “sotto casa” non vi è quasi più nulla e le distanze sono difficili o impossibili da gestire; problema che si esaspera in agosto con le chiusure per ferie;
- si è obbligati ad usare l’auto per raggiungere questi centri, spesso posti fuori dal centro abitato, aumentando così l’inquinamento ambientale e i costi da sostenere individualmente per gli acquisti;
- si è affievolito il tessuto sociale del quartiere stesso perché i residenti non hanno più la possibilità di conoscersi anche attraverso la frequentazione dei negozi, bar, trattorie, ecc. sotto casa.
Se vi pare poco …
Dimenticavo l’affermazione secondo la quale le persone “… hanno trovato un luogo piacevole per stare insieme, rinforzare relazioni amicali o familiari così come un tempo avveniva nella piazza ….“.
Ma stiamo scherzando ?
Se fosse vero che le persone rafforzano le loro relazioni sociali e famigliari nei centri commerciali ci sono alcune cose che sicuramente non vanno!
E c’è di che preoccuparsi seriamente dato che è in parte vero.
Se tali relazioni si rafforzano in un centro commerciale è perché non vi sono luoghi di aggregazione sociale sul territorio e c’è qualcosa che dovrebbe essere "rivisto”.
L’aggregazione sociale passa anche attraverso biblioteche di quartiere (in fase di riduzione/chiusura), luoghi di aggregazione per tutte le età, cinema, trattorie, bar, negozi e luoghi liberamente aperti e in fasce d’orario serie (pomeriggio e sera) senza l’obbligo della consumazione e dislocati in tutti i quartieri.
In tal modo, dai giovani agli anziani, si avrebbe l’opportunità di incontrarsi, conoscersi e creare quei legami sociali nei quartieri, almeno della città medio-grandi, ormai in via di estinzione, ma indispensabile per una vivibile città.
Molte amministrazioni locali hanno scelto la liberalizzazione selvaggia delle licenze dei centri commerciali, così come a Milano. Il risultato è la desertificazione di interi quartieri da un lato e dall’altro la costruzione di molti centri commerciali in città e nell'hinterland, la concentrazione dei cinema e locali, bar, ristoranti, ecc. in centro o in alcune specifiche zone (es. navigli, garibaldi) producendo, oltre a quanto sopra descritto, anche vari problemi di viabilità e quiete notturna persa per chi si trova ad abitare in quelle zone.
Tale politica di programmazione dello sviluppo delle attività commerciali a scapito di una sana politica della gesione sociale del territorio sposa la logica per cui il cittadino ha perso il suo valore intrinseco di cittadino per essere solo un consumatore a cui proporre acquisti ovunque e comunque.
Pertanto, non si mistifichi la bontà sociale dei centri commerciali e si smascheri la mancata saggezza dello sviluppo sociale delle città, Milano in primis.
Risparmio il grande valore umano in cui vengono considerati i dipendenti di tali centri: precarietà, turni massacranti, mancati riposi pausa "bagno" e in ultimo l’apertura il 25 aprile e il primo maggio perché il mio terremoto interno sta aumentando la sua magnitudo….
Altra visione dei centri commerciali: LA MAFIA ED I DUE CENTRI COMMERCIALI
Per approfondire: Marc Augé sul Nonluogo e Sudmodernità
Luciana P. Pellegreffi
Translation services
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