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11.10.11

Verso il 15 ottobre. Intervista a Giuseppe de Marzo (A Sud): "Inizia un cammino nuovo per l'alternativa, in difesa di diritti e beni comuni"

Intervista a Giuseppe De Marzo, portavoce di A Sud – Uniti per l’alternativa.
Partiamo dalla crisi. Se dovessimo analizzarla quali sono gli elementi da far emergere?
Quella che stiamo attraversando, più che una crisi del debito, è una crisi della bilancia dei pagamenti squilibrata da tanti anni, nel nostro Paese così come nel resto dell’Unione Europea che sta subendo gli effetti della speculazione finanziaria internazionale. Più che l’economia italiana ed europea ad essere sotto attacco è la moneta unica. Questa cosa agli italiani non viene raccontata. Nemmeno la politica ha aperto una discussione sull’argomento così nessuno sta provando ad immaginare cosa accadrebbe se saltasse l’euro. Al centro è stata messa solo la questione del debito che però è risolvibile e non con la liquidazione di qualsiasi diritto. In questo quadro bisogna difendere il mercato del lavoro e controllare il flusso dei capitali.


Di fronte allo scenario di crisi sopra descritto, qual è la strada che i movimenti sociali devono intraprendere?
La qualità della crisi negli ultimi anni è cambiata. A Genova, dieci anni fa, avevamo annunciato che prima o poi il sistema economico basato sul saccheggio capitalista avrebbe investito anche l’Europa. E ora sta avvenendo. La situazione attuale ci impone la necessità di cambiare la qualità del movimento: dai movimenti sociali dovremmo diventare società in movimento. Questo è possibile a partire dalla ricostruzione delle relazioni sociali, economiche e giuridiche tra cittadini all’interno della società. Si potrebbe parlare di riterritorializzazione delle mobilitazioni. Il primo passo è resistere di fronte all’ondata di parole d’ordine da cui siamo bombardati quotidianamente, parole imposte da una politica che non è in grado di farsi portatrice delle istanze contenute nelle mobilitazioni di questo Paese: pareggio di bilancio, austerity, sacrifici, flessibilità ci vengono descritte come ricette necessarie per uscire dalla crisi. Il secondo passo è quello di provare a elaborare un pensiero maggioritario che prospetti un’alternativa concreta e che convinca la gente che in questo modo si può “vivere bene”. È una sfida enorme. E per far questo è necessario che il movimento entri in campi in cui nel passato non si era mai addentrato. Parlo della riconversione industriale ed ecologica, che dobbiamo essere in grado non solo di teorizzare ma di costruire, della necessità di autoformarsi su questioni nuove come i beni comuni. In sintesi, bisogna cambiare la lettura e la qualità della nostra visione, sviluppare un’alternativa concreta nei territori con pratiche meno avanguardiste ma in grado di fondarsi su un pensiero più lungo.


La crisi economica ha aperto anche una crisi di democrazia oltre a dimostrare, come è stato accennato nella risposta precedente, l’inadeguatezza della classe politica. La società in movimento di cui hai parlato prima come dovrebbe relazionarsi con quest’ultima?
Bisogna sospendere l’apologia del rancore e cercare di costruire azioni al di fuori di questo schema e delle relazioni personali. I rapporti con la politica sono possibili là dove sussistono obiettivi comuni. Se questi non ci sono semplicemente non è possibile e viceversa.

In questo quadro che valenza assume la mobilitazione del 15 ottobre?
Il 15 ottobre sarà la grande giornata dell’indignazione a livello mondiale. Ma in Italia c’è in gioco qualcosa di più. Viviamo una situazione politica anomala in cui il centrodestra al governo e il centrosinistra all’opposizione hanno espresso, con una strana continuità, di essere d’accordo con le direttive della Banca centrale europea legittimando le richieste dei poteri forti e delle grandi banche. Il 15 ottobre deve diventare l’opportunità per sgomberare il campo e affermare la nostra contrarietà alle politiche di austerity e alla crisi. Come detto, in Italia rischiamo qualcosa di più. La politica sta sfruttando la crisi per dire che ciò che il popolo ha espresso con i referendum di giugno non può essere rispettato. Ecco, il 15 ottobre il popolo deve tornare a condurre con gli istituti della democrazia le scelte politiche di questo Paese. Quella giornata non dovrà essere un momento episodico ma la tappa di un cammino nuovo, come quello intrapreso per il referendum, che proponga un’alternativa, che difenda i diritti e i beni comuni.

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