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13.12.10

IL “TRADIMENTO” DELLE SIGNORE DEPUTATO CHE ASPETTANO UN BAMBINO

Per la prima volta la strategia dei partiti le guarda con sospetto. Finalmente protagoniste, succede ogni morte di governo. Fino a poco tempo fa a Montecitorio non avevano diritto nemmeno a una vera toilette confinata sopra una scala a chiocciola così diversa dai bagni eleganti degli onorevoli maschi.  di Giancarla Codrignani
Tre parlamentari non sanno, perché sono prossime alla maternità, se potranno partecipare a una di quelle votazioni che un tempo il PCI segnalava come “senza eccezione alcuna”. Montecitorio (e ancor più il Senato) è fabbricato per escludere le donne. Pensate che le toilettes dei maschi sono a piano terra, ristrutturate anni fa con marmi del Portogallo; quelle femminili sono, dietro l’aula, vi si accede per una scaletta ricurva e sono ambientalmente spartane. Quando la Camera è chiusa, le signore o trovano appena il sapone o addirittura la porta chiusa (una volta, il giorno della chiusura estiva, esausta e abbruttita, non vedevo l’ora di arrivare in aeroporto e dovevo assolutamente lavarmi i capelli: bagni chiusi. Andai nel salone dei maschi, dove i barbieri non mi volevano ammettere…). Che le donne non siano legittimate come “genere” lo dimostra la maternità nelle istituzioni. La mia “compagna di banco” ebbe una figlia: la gravidanza passò nella più rigorosa indifferenza (ovviamente le colleghe si informavano). Un giorno – lo stato era ormai evidente dietro l’abito che cadeva lento – le stavo chiedendo come stava e un compagno che aveva sentito si fermò per chiedere se era ammalata: richiesto di vedere l’evidenza, tranquillamente rispose che pensava a una nuova moda… Senza parole, vero?… Quello che sta capitando a Bongiorno, Cosenza e Mogherini fa comprendere che siamo ovunque delle cattive lavoratrici: in Parlamento come in fabbrica la gravidanza è “una malattia”. Necessaria, dunque, una legge per le donne nelle istituzioni (anche a Bologna l’assessore Simona Lembi in Provincia non trovò alcuna norma specifica); ma soprattutto non pensiamo che si tratti di una “leggina”. Si tratta di fare “cultura di genere” di donne che non possono essere così omologate da rinnegare che la nascita di bambini e bambine è evento politico-cultrale prima che sociale e non separabile dalla specificità della madre, che va tutelata nel corpo – da non mettere a rischio – e nei diritti conseguenti al debito che la società intera contrae con la donna per l’immissione di un nuovo, una nuova presenza umana. Mai più si dica malattia ad una gravidanza.


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